giovedì 21 maggio 2015

MAD MAX - FURY ROAD (G. Miller, 2015)

In un futuro remoto post-apocalittico, quel che resta degli uomini è governato da Immortan Joe che si serve dei suoi Figli della Guerra per alimentare il culto di se stesso. Max è un uomo solitario tormentato dal senso di colpa, l’Imperatrice Furiosa è la protetta del sovrano. Quando quest’ultima decide di ribellarsi, le strade di entrambi si incroceranno.


Prendete un regista che cominci a girare film negli anni d’oro del punk, dategli trent’anni di evoluzione tecnologica, l’osservazione delle derive nichilistiche nel cinema dei postumi e posteri dei suoi precedenti film, ed ecco la ricetta di Mad Max- Fury Road.
A trent’anni esatti dal precedente capitolo, George Miller riporta in vita Max Rockatansky, questa volta con la faccia di Tom Hardy piuttosto che del buon Mel Gibson, troppo vecchio per il ruolo.

In una terra morente e desertica, dove ogni strada si riavvolge su se stessa precludendo ogni via di fuga che non sia un disperato miraggio, a governare c’è Immortan Joe, un dio/sovrano malato, padre di tutte le deformità fisiche e mentali dei suoi figli/seguaci. La guerra degli uomini è l’unico atto in grado di preservare un barlume di socialità nella roccaforte del potere, La Cittadella, una fortezza scavata nella roccia, protetta da schiavi bambini che dispensa acqua e nutrimento insufficienti alla folla di piccoli mostri pullulante ai suoi piedi come in un trittico di Hyeronimus Bosch. L’Olimpo di Immorten Joe è una fabbrica di esseri umani dove le donne vengono munte e i deboli soggiogati dal fanatismo religioso, e i motori e le armi sono l’unica forma di interazione con le poche altre tribù circostanti.

George Miller dà una forza senza precedenti alla mitologia del suo lavoro più noto perché questo Mad Max è un film d’azione pura, di velocità estrema e di sublime follia. Lo scenario è quello desertico post-apocalittico che negli ultimi anni abbiamo visto crescere, svanire e poi ritornare sotto varie sembianze, di cui Miller stesso ha tracciato l’archetipo e che qui rinnova con caratteristiche inedite.
Potrei dilungarmi per ore ad analizzare la dicotomia “uomo distruttore vs donna generatrice di vita”, o cavalcare l’ondata di tripudiante femminismo che il film ha scatenato nel mondo degli studi di genere, ma la verità è che una cosa su tutte resta impressa dopo aver guardato Mad Max: i tamburi. Il suono battente ed incalzante per accogliere, attaccare, celebrare, esaltare ogni momento di questa folle epopea che unita al rombo dei motori e al furore cieco di una chitarra elettrica fa del ritmo la forza incontrastata del film. A questa va aggiunta una Charlize Theron bella come non la si vedeva da anni, icona perfetta della femminilità senza fronzoli: forte e combattiva nel corpo, profondamente malinconica nello sguardo. Miller, poi, argina il rischio di sotterrare la trama sotto palate di azione fine a se stessa con una sceneggiatura asciutta e sensata nella sua sconfinata follia, mettendo ogni personaggio al posto giusto e riuscendo nell’iperbolica impresa di far emergere l’anima da un personaggio come Max che si esprime solo a grugniti e cazzotti.
Insomma, Mad Max è un film senza precedenti, che si spaccia per sequel ma di fatto riscrive un genere a partire dal cuore di tutto ciò che veramente avevamo adorato nelle sue prime manifestazioni. Ne esce un’opera anarchica, potentemente punk, adrenalinica come poche e visivamente impeccabile. Unica.

RICETTA.
Non so voi, ma io dopo Mad Max ho voglia di carne cruda.


400 g di polpa di manzo
1/2 spicchio di aglio
1/2 limone
olio extravergine di oliva
sale
  pepe

Tritate più volte la carne nel tritacarne fino a ottenere una grana molto fina; in alternativa, potete anche tagliarla molto finemente con un coltello ben affilato. Raccoglietela in un’insalatiera, che avrete prima strofinato con l’aglio fino a consumarlo tutto.

Stemperate in una ciotola il sale nel succo filtrato di limone, unite a filo 5 cucchiai di olio, battendo con una forchetta in modo da emulsionarlo, e versate la salsa ottenuta sulla carne.Mescolate con cura e servite nei piatti individuali. Questa ricetta, conosciuta anche come “carne cruda all’albese”, in stagione viene completata con petali di tartufo bianco; riducendo le dosi la preparazione diventa un antipasto.

sabato 25 aprile 2015

THE AVENGERS - AGE OF ULTRON (J. Whedon, 2015)

Se vi siete persi la recensione del primo capitolo degli Avengers, andate a leggervela qui.



Durante una missione in Sokovia, gli Avengers attaccano una base dell' HYDRA e recuperano lo scettro di Loki per riportarlo finalmente ad Asgard. Al loro ritorno, però, Tony Stark e Bruce Banner approfittano della presenza dello scettro per studiare l'intelligenza artificiale al suo interno ed assimilarla al progetto di difesa globale da loro progettato e denominato Ultron. In loro assenza, però, Ultron prende il sopravvento e s'incarna in un essere autonomo determinato a sterminare gli Avengers. A lui si alleano anche i gemelli Maximoff - Quicksilver e Scarlet Witch -, nati da una manipolazione genetica operata dall' HYDRA.

The Avengers - Age of Ultron è il capitolo centrale nella saga dei vendicatori riuniti, quello che punta a traghettare la storia verso un epilogo e che, se da una parte butta sul fuoco tutta la carne che mangeremo nei prossimi anni, dall'altra tende a fare il punto della situazione e ravvivare l'immagine che abbiamo costruito di ogni personaggio. Ogni Avenger vanta più di un film omonimo che lo possa descrivere e che ha contribuito ad alimentare le aspettative di questo nuovo capitolo, ma il buon Whedon sapendo che Vedova Nera e Occhio di Falco non avessero mai avuto questo onore, e prima che gli Avengers facciano comunella con i nuovi affiliati, ha pensato bene di stuzzicare un po' i due, mettendoli a nudo (tranquilli, nessuna scena di sesso tra loro). Dei due mette a fuoco qualche segreto e insicurezza, per estendere a tutto il gruppo una visione più matura e meno scanzonata. Dal 2012 ad oggi abbiamo visto i singoli vendicatori misurarsi con le proprie battaglie, ma raramente con le proprie paure, così l'azione più sfrenata della caccia a Ultron spesso si scioglie in momenti inquietanti ed onirici in cui a venire allo scoperto è la parte debole di ogni supereroe, la più umana, quella che da sola può sgretolarsi o aggregarsi nella forza del metallo. In questa circostanza acquista un senso la presenza dei gemelli Maximoff, soprattutto di Wanda/Scarlet Witch, capace di manipolare la mente e vedere il fondo dell'anima di ognuno, scatenando visioni e terrore.

Come nel primo capitolo, dunque, gli ingredienti Marvel ci sono tutti: l'azione è da togliere il fiato, il film si apre con la battaglia per la conquista dello scettro di Loki presidiato dall'HYDRA, i contrasti tra alcuni personaggi persistono ma il gruppo riesce ad avere sempre la meglio, c'è il ritorno del filone sentimentale, tantissima ironia e ... un cattivo spiegato male. Sì, unica pecca del film sta nell'aver messo davvero troppa carne a cuocere e aver perso di vista la cura per alcuni dettagli.
Per troppo tempo la presenza di Scarlet Witch e Quicksilver sembra casuale, Ultron delinea un progetto assolutamente folle ma non assume mai uno spessore tale da percepirsi come minaccia reale e presente, infine la Visione nasce come il più affascinante dei personaggi ma non ha (ancora) il giusto peso. Dovremo aspettare altri tre anni prima di The Avengers - Infinity War (part 1) e in questi anni rivedremo Capitan America e Tony Stark in Captain America - Civil War, e Thor in Thor - Ragnarok, e forse non penseremo a come sarà la Visione nel 2018, ma ora che c'è Avengers - Age of Ultron, ed è un film che ti tiene incollato allo schermo e ti fa sobbalzare spesso ci rimane un po' di sapore d'attesa e un po' del senso di perdita. Che sia una tattica di Joss Whedon per passare lo scettro ai fratelli Russo e lasciargli un filone da completare con l'apertura della Terza Fase Marvel? Staremo a vedere. Nel 2018.


RICETTA
Quest'anno mi sono data alla coltivazione di spezie e frutti di bosco in balcone, Che c'entra? Niente. E invece c'entra, perché la ricetta che sto per proporvi nasce proprio dall'aver avuto a portata di mano una buona quantità di timo limone e menta freschi, tre spigole e un pestello. Allora mi chiederete cosa c'entra col film? Be', trovatemi voi un cibo più simile al metallo della pelle lucida di una spigola fresca!

SPIGOLE RIPIENE
ingredienti
tre spigole
150 gr di pangrattato o mollica 
zenzero fresco
una manciata di uvetta candita
una manciata di pinoli
timo limone
menta
olio evo q.b.
sale grosso
pepe

Squamate le spigole e privatele della lisca centrale ma non della testa. In una padella scaldate appena due cucchiai di olio e fate tostare la mollica di pane e i pinoli. In un mortaio pestate lo zenzero, le erbette e un po' di sale grosso. Unite alla mollica tostata la miscela di erbe e l'uvetta che avrete fatto rinvenire in acqua, poi farcite le spigole e chiudetele con uno stuzzicadenti. Aggiustate di sale e pepe, poi avvolgetele con dell'alluminio e cuocete in forno per circa 20' a 170°.

venerdì 27 febbraio 2015

NESSUNO SI SALVA DA SOLO (S. Castellitto, 2015)

A fare da cornice è una cena, Gaetano (Riccardo Scamarcio) e Delia (Jasmine Trinca) si ritrovano al tavolo di un ristorante qualunque (Pane Nostro) a discutere di come organizzare le vacanze per i bambini. Nel mezzo della conversazione, alternata a liti ed insulti a denti stretti, la loro storia viene narrata dai flash back che analizzano la passione, l'amore ed il matrimonio tracciandone l'ascesa frenetica ed il declino fino alla separazione.

La storia di Delia e Gaetano è una storia come tante che Sergio Castellitto attinge ancora una volta da un romanzo della scrittrice e compagna di vita Margaret Mazzantini. La passione scoppia tra due giovani apparentemente diversi, lei biologa nutrizionista, fragile e con un passato da anoressica, lui aspirante scrittore ma meno raffinato nei modi, e li consuma fino alla nascita dei due figli, quando le responsabilità ed i doveri quotidiani s'impongono sull'euforia amorosa. Ogni ambizione cambia, i sogni stessi svaniscono o si tramutano in qualcos'altro, come in quasi tutte le coppie accade, fino ad accusarsi a vicenda, al tavolo di un ristorante, di essere cambiati.

Il film è pulito e lineare, non ci sono colpi di scena da aspettarsi, tutt'altro. Nel suo essere placidamente narrativo, parla direttamente allo spettatore, e ci si commuove laddove si accetta il compromesso di uno sguardo reciproco. Non manca una sequenza quasi onirica in cui i due protagonisti si confrontano con una coppia più anziana (interpretata da Angela Molina e Roberto Vecchioni) che potrebbe valere come deus ex machina. In realtà il regista dissemina lungo il film impercettibili suggerimenti di salvezza che convergono tutti nella preghiera sulla gradinata della Galleria d'Arte Moderna di Roma. Che sia l'arte la sola a poterci salvare dalla crisi civile/amorosa?

Più che Non ti muovere e Venuto al mondo - gli altri due film ispirati e sceneggiati da Mazzantini - questo nuovo film di Castellitto meglio si sposa con La Bellezza del Somaro, poiché a fare da sfondo al dramma della famiglia borghese è sempre quella patinatura critica alla famiglia come vittima sacrificale dei postumi del sessantotto. I genitori di Gaetano ne sono l'esempio più comico, ex hippie che fumano marijuana e suonano la chitarra a tavola con l'albero di Natale addobbato sullo sfondo, ma tanto per Gaetano quanto per Delia il senso di inadeguatezza e sofferenza nella coppia è imputato ai padri, sbagliati o assenti che siano. E agli stessi padri, forse, è consegnato il senso possibile della salvezza, che se "nessuno si salva da solo", allora saranno proprio loro a doverci tendere una mano, e non per redimersi o per onniscienza, ma solo per avere già provato e fallito nelle stesse situazioni.

RICETTA
Famiglia. Che sia equilibrata o caotica, è pur sempre famiglia, con le belle e le brutte stagioni. E cosa c'è di più familiare di un bel piatto di polpette? Sì, semplicissime e familiarissime

POLPETTE AL SUGO
250 gr di carne macinata di maiale
250 gr di carne macinata di vitello
100 gr circa di pane raffermo sbriciolato
50 gr di formaggio grattugiato misto parmigiano e pecorino
prezzemolo
sale pepe
2 uova medie
sugo di pomodoro al basilico, 1l
olio qb
un bicchiere di latte
farina qb
In una ciotola capiente mettete la carne ed aggiungete il prezzemolo tritato, il pane che avrete precedentemente ammorbidito con il latte e poi strizzato, sale, pepe e le due uova. Lavorate con le mani fino ad amalgamare tutti gli ingredienti in un impasto omogeneo. Dividete l'impasto in tante palline di medie dimensioni (poco meno di una pallina da tennis), passatele nella farina e friggetele. Devono essere solo dorate all'esterno, non è necessario cuocerle bene. Intanto in una pentola scaldate il sugo, mentre sobbolle calateci le polpette una ad una, coprite con un coperchio e lasciate cuocere a fiamma bassa per circa mezz'ora. Servite calde, da sole o con della pasta fresca condita con il sugo di cottura.

giovedì 26 febbraio 2015

KINGSMAN - THE SECRET SERVICE (M. Vaughn, 2015)

Gary Unwin, detto Eggsy, è un adolescente sbandato, vive con la madre ed il compagno violento. Diciassette anni prima, alla morte del padre, un uomo misterioso gli aveva affidato una medaglietta con un numero di telefono ed una parola d'ordine incisi, da utilizzare in caso di necessità. L'uomo era Harry Hart, lo stesso che si presenta ad Eggsy per addestrarlo a diventare un agente segreto dei Kingsman.

Prendete il più elegante tra gli attori british, fatelo allenare ogni giorno per sei mesi e poi mettetelo al centro di un film d'azione ed avrete Colin Firth nei perfetti panni di Harry Hart, l'agente segreto dei Kingsman, irresistibile mentore per Taron Egerton nel ruolo di Eggsy - qui alla sua prima esperienza cinematografica- . Sì, perché se in passato è stato facile riconoscere Firth quale elegante gentiluomo (ricordate A Single Man?), oggi è sorprendente vedergli ammazzare i cattivi e sapere che ha girato l'80% delle scene senza l'ausilio di una controfigura.  Di contro c'è un inedito Samuel L Jackson, il villain con la zeppola e il cappellino da baseball, un po' Steve Jobs e un po' Dottor Male di Austin Powers con un piano omicida talmente assurdo da risultare divertente.

Si potrebbe dire che Matthew Vaughn sia ritornato in scena con un altro cinecomic (dopo Kick Ass e X-Men), se non fosse che Kingsman ha poco a che fare con le cose già viste. Se mantiene i tratti autentici del fumetto di Mark Millar, allo stesso tempo ammicca al cinema di spionaggio alla 007 e, più che di vere citazioni, è farcito di molte situazioni canzonatorie nei confronti dei riferimenti cinematografici che ci si aspetterebbero. A far da padrone è il conflitto più che godibile tra eleganza e mistero in doppiopetto contro megalomania e sfarzo con berretto. Da una parte si schiera la cura per la riservatezza e dall'altra il delirio di onnipotenza, e in tutto ciò non manca una scazzottata letteralmente "mondiale". La narrazione si fa via via più incalzante, ogni personaggio aumenta in spessore, persino il piano di Valentine si delinea tanto da risultare credibile, mentre il ritmo crescente è sorretto dalla colonna sonora, come già prefigurato dalle note di Money for nothing dei Dire Straits nell'incipit.
Insomma, Kingsman si propone tanto come prodotto per gli amanti dei cinecomics quanto per i devoti di 007, sicuramente riuscito anche nel suo essere un buon racconto di formazione, cosa che già Kick-Ass aveva tentato ma in modo meno efficace.

RICETTA
Kingsman è un film di intrattenimento in cui Vaughn ha finalmente trovato un equilibrio lodevole tra la smania di omaggiare un prodotto da lui apprezzato - il fumetto - e la necessità di creare un prodotto diverso e altrettanto buono per il cinema. Il risultato è energico, sorprendente, assolutamente efficace. Ultimamente sono diventata una grande fan dello chef Jamie Oliver che conduce vari programmi in onda su LaEffe e pochi giorni fa, forse il giorno dopo aver visto Kingsman, Jamie ha preparato una ricetta che ho trovato particolarmente adatta al film. Si tratta di un'alternativa gustosa ed economica al cibo d'asporto che in Inghilterra è un appuntamento imprescindibile del venerdì sera. Anche in Italia la pizza del sabato sera sta lentamente cedendo il passo a cibi esotici o difficili da fare in casa, ghiottonerie che si possono trovare semplicemente ordinando su internet con JustEat. Ebbene, se amate il fast food davanti ad un buon film raffinato e ugualmente pieno di scazzottate severe, preparate
500 gr di carne di agnello macinata
timo fresco
cumino
4 peperoncini lunghi
buccia grattugiata di un limone
una manciata di pistacchi sgusciati
salsa piccante
1/4 di cavolo rosso
una cipolla rossa
insalata mista
un cetriolo
yogurt bianco
menta fresca
aceto di mele
olio evo
sale
2 piadine o tortilla

In una ciotola lavorate la carne macinata con cumino, timo e sale. Prendete 4 bastoncini da spiedino ed avvolgete l'impasto intorno come a formare dei lunghi hamburger infilzati. Grigliate su una piastra ben calda con accanto i peperoncini. A parte tagliate il cavolo a listarelle sottili e conditelo con sale, olio, due cucchiai di aceto ed un cucchiaino di zucchero. All'insalata aggiungete il cetriolo affettato e condite il tutto con menta e poco olio. Tagliate la cipolla e mettetela a marinare con limone, sale e pepe. Pestate i pistacchi nel mortaio con il cumino e la scorza di limone. Quando gli spiedini saranno cotti spennellateli con la salsa piccante e rotolateli nel pistacchio. Servite su una piadina con insalata, alla quale aggiungerete qualche cucchiaio di yogurt, cavolo rosso e cipolla.

mercoledì 4 febbraio 2015

JUPITER ASCENDING - IL DESTINO DELL'UNIVERSO ( Andy e Lana Wachowski)

Jupiter Jones (Mila Kunis) è figlia di immigrati russi. Orfana di padre sin dalla nascita, vive con il resto della famiglia e per mantenersi fa le pulizie a domicilio. La sua vita cambia quando scopre di essere oggetto delle mire degli Abrasax, i sovrani che governano l'universo. A tentare di salvarla arriva Caine (Channing Tatum), un mercenario solitario ingaggiato da uno dei sovrani, ignaro della vera identità di Jupiter e del perché vogliano ucciderla.


Il mondo dei Wachowski è un universo in divenire che accoglie e supera in forza visiva tutti i mondi conosciuti, uno spazio fluido e mutevole che prende forma nella memoria cinematografica di tutti, sfidando lo spettatore a riconoscere tutte le citazioni possibili. C'è lo spudoratissimo e dichiarato intrigo sentimentale a La Bella e la Bestia, una scena-cameo di Terry Gilliam palesemente ispirata al suo Brazil, ma anche la nave spaziale e gli attacchi di guerra (i martelli, per intenderci) del gioco Warhammer 40000. Sono passati tanti anni da Matrix e sarebbe fin troppo scontato paragonare l'ultima fatica dei Wachowski ancora una volta alla saga che li ha resi celebri, se non fosse che loro stessi sembrano divertirsi a rimescolare e riproporre più o meno sempre la stessa storia. Jupiter, che dà il nome al film, è la protagonista, e come Neo a suo tempo è una persona qualunque che scopre di essere predestinata a grandi cose, principalmente ad una grande cosa: salvare la terra. Accanto ad ogni eroe c'è sempre un fedele compagno, che in questo caso è particolarmente fedele, essendo un incrocio tra un uomo e un cane (un lupo, in verità, ma una delle battute migliori del film sta nel paragonarlo ad un cane). Attorno a questo anello narrativo torna la riflessione, non troppo profonda né di difficile interpretazione, sulle logiche del potere e il sacrificio di molti per il bene di pochi. 

La sceneggiatura è carente, sembra voler mettere le mani un po' ovunque per poi ridurre tutto a zero: resta una grande impalcatura visiva, un involucro psichedelico ma vuoto. Tuttavia, qualcos'altro c'è, e se non è da ricercarsi nel contenuto, arriva in quel che si sedimenta dopo la visione. Jupiter Ascending è da collocare nella scalata di un cinema che fa leva sulla più potente spettacolarizzazione del mezzo, in nome del senso dello stupore che fu per primo di Méliès, lo schermo ci attrae attraverso vortici e luci abbaglianti e allo stesso tempo ci illude che quel che abbiamo davanti è una visione nuova e sorprendente. Un trucco, certo, che ci tiene protesi in avanti mentre i personaggi riflettono sul passato creando una struttura circolare che non ha evoluzione: un telescopio apre e chiude il film, una reincarnazione rinnova una storia che si credeva conclusa, ma soprattutto nella circolarità degli eventi non esiste più il tempo, le forme sono liquide e dinamiche, spesso difficili da seguire, ed il senso si diluisce. Nella tensione per farne un cinema delle attrazioni, Jupiter Ascending diventa uno spettacolo acrobatico, un circo Barnum di mondi esperibili in digitale che dribbla il rischio di filosofeggiare un secondo Cloud Atlas e si prende amabilmente in giro, guardandosi le spalle e perdendo qualche pezzo per strada.

RICETTA
Questa volta, cercando una ricetta adatta al film, mi sono imbattuta in un sito che raccoglie ricette da tutto il mondo per l'Expo 2015. Ci vorrebbe un alcolico speziato o un dolce stravagante. Bene, immaginate allora di sprofondare al cinema in una comoda poltrona, con gli occhiali 3D e lo schermo che piano piano vi avvolge e finalmente cattura. Cosa vorreste addentare? Io l'ho trovato, ma attenti alle briciole!


250 millilitri di Birra, Guinness
250 grammi di Burro
75 grammi di Cacao amaro
400 grammi di Zucchero
142 grammi di Panna acida
2 Uova
1 Vaniglia, i semi di una bacca
275 grammi di Farina
2,5 cucchiai da tè di Bicarbonato di sodio
400 grammi di Formaggio spalmabile
125 grammi di Zucchero a velo
150 grammi di Panna

Tagliate il burro a pezzetti e mettetelo a scaldare a fuoco dolce con la Guinness e lo zucchero fino a che il tutto non si sarà amalgamato. Togliere dal fuoco e far raffreddare.
Nel frattempo sbattere le uova con la panna acida e aggiungere il cacao setacciato. Aggiungete poco alla volta il composto di burro e birra e mescolate con una frusta. Per ultimo aggiungete la farina setacciata con il bicarbonato.
Versate il composto in una teglia da 24 cm imburrata e mettere a cuocere in forno a 180 gradi per 45-60 minuti. Fate la prova stecchino: dopo i primi 45 minuti infilate nella torta uno stecchino, dovrà uscire pulito.
A cottura ultimata, sformate e fate raffreddare completamente. La torta è buonissima già così! Se invece volete glassarla, preparare il n: mescolate lo zucchero a velo con il formaggio cremoso, fino ad avere una crema liscia. Montate la panna e aggiungetela delicatamente alla crema di formaggio. Potete glassare la torta interamente o solo sulla parte superiore.

venerdì 30 gennaio 2015

THE ICEMAN (A. Vromen, 2012)

Tratto dal libro The Iceman: a true story of a cold-blooded killer, di Anthony Bruno, The Iceman nasce dalla volontà di Ariel Vromen di portare sugli schermi la vita del sicario Richard Kuklinski condannato a sei ergastoli e morto in carcere nel 2006.
Di origini polacche, Kuklinski (Michael Shannon) non ha alcun rapporto con la famiglia di origine, allontanatosi presto da un padre violento, ha un carattere riservato e apparentemente docile. Sposa Deborah (Winona Ryder) e con lei costruisce una famiglia, pur tenendola all'oscuro del suo vero lavoro. Dapprima copista di film porno, poi sicario al soldo del boss Roy Demeo (Ray Liotta), Kuklinski arriva a guadagnarsi dai media il soprannome di The Iceman, l'assassino che sevizia e congela le sue vittime.

Presentato a Venezia nel 2012, finalmente il film arriva sugli schermi italiani. La storia è pressoché classica: si prende un assassino e si porta il pubblico a sodalizzare con lui mostrandone il lato più umano. L'operazione compiuta da Vromen è di sensibile limatura rispetto al profilo del personaggio reale, poiché sceglie di omettere molti dei particolari più sadici che ne fecero un omicida efferato oltre che un killer al soldo di qualcuno. Ma un film è pur sempre un film, e va giudicato come tale, a prescindere dalla storia che lo ha ispirato.
Lineare e costante, il ritmo della sceneggiatura trae giovamento dallo sguardo di ghiaccio di Michael Shannon, qui protagonista e consolidato interprete di un ennesimo ruolo da matto, sicuramente grazie all'ambiguità con cui riesce a rendersi credibile tanto come padre amorevole che assassino spietato. Accanto a lui Winona Ryder è la moglie ingenua e devota, perfettamente a proprio agio nei panni che più volte ha indossato nella sua carriera. Altra figura consolidata è quella di Ray Liotta in qualità di mafioso senza scrupoli e mentore di Kuklinski. Una scelta meno scontata ma ugualmente azzeccata è quella di David Schwimmer (Ross di Friends) nel ruolo del protetto di Demeo. Nel cast anche Chris Evans, sicario gelataio con un soprannome da villain dei fumetti, Mr Freezy, James Franco e Stephen Dorff in due ruoli cameo.

A rendere particolarmente gustoso questo film è che non cede mai alla tentazione di spiegarsi. Vromen rinuncia a mettere troppa carne al fuoco, accenna velatamente all'infanzia difficile di Kuklinski quando, su questo tema, avrebbe potuto giocare la carta dell'empatia in qualsiasi momento. L'oscurità che avvolge il protagonista è dichiarata sin dalla prima scena che ci propone il suo volto in penombra e in primissimo piano, ed è contagiosa al punto che alla fine si finisce con l'odiare più le ingenue figure di contorno (prima tra tutte la moglie Deborah) che l'algido e imponente protagonista.

RICETTA
Non so voi, ma l'unica cosa che proprio non mangerei dopo aver visto un killer che congela le proprie vittime, è un piatto a base di carne. Anche perché molta della carne che cucino proviene dal mio congelatore (scelta quasi obbligata quando hai una mamma calabrese che ti manda quintali di cibo).
Cucinerei, invece, un piatto che ho imparato guardando in tv lo chef inglese Jamie Oliver, un piatto economico, gustoso e vegetariano.
Arrosto di sedano rapa
INGREDIENTI
1 sedano rapa
500 g di funghi champignon
panna da cucina
timo
alloro
prezzemolo
aglio
burro
olio evo
olio al tartufo (un cucchiaino)
sale e pepe qb

Lavate e mondate il sedano rapa spuntando solo la parte con le radici, dove potrebbe annidarsi ancora della terra. Su una teglia disponete due lunghi fogli di carta d'alluminio, incrociandoli. Al centro mettete il sedano e massaggiatelo con olio d'oliva e gli aromi in abbondante quantità. Salate e raccogliete la carta attorno al sedano, lasciando all'interno gli aromi e due spicchi d'aglio; prima di sigillare il tutto versate nell'involucro l'olio al tartufo e mettete una noce di burro in cima al sedano. Chiudete bene ed infornate a 180° per 3 ore. Intanto fate rosolare i funghi già tagliati con poco olio,  aglio e prezzemolo. Quando saranno quasi cotti salate ed aggiungete la panna. Servite il sedano come fosse un arrosto accompagnato dalla salsa ai funghi.

TURNER (M. Leigh, 2014))

Mike Leigh filma la vita ed i luoghi del "pittore della luce" Joseph Mallord William Turner, e con essa uno splendido ritratto dell'Inghilterra vittoriana. Racconta gli ultimi venticinque anni di vita dell'artista, il legame con il padre, il rapporto negato con moglie e figlie, la vicinanza della governante innamorata ma usata solo come sfogo sessuale, infine l'affetto per la vedova Booth. Dentro ed intorno a lui, lo sguardo alla natura ed il bisogno feroce di cambiare gli stilemi imposti dall'accademia.

Turner fu un uomo non facile, la cui ispirazione artistica sembra spesso entrare in contrasto con una personalità burbera, apparentemente disinteressata nei confronti degli uomini quanto innamorata della natura ma è in realtà essa stessa un bisogno fisico, carnale. Ogni oggetto della sua attenzione deve essere riprodotto e dipinto, come la prostituta che giace in posa sul letto per essere ritratta, prima di concedersi. Turner brama di poter afferrare e congelare gli attimi, non a caso le sue pitture di luce ispirarono tanto i futuristi, e non a caso Leigh ha pensato di raccontarne gli ultimi anni di vita attraverso la scrittura di luce per antonomasia: il cinema.

A vestirne i panni è Timothy Spall e non c'è dubbio che l'attore sia perfettamente riuscito a calarsi nel ruolo, meritando la Palma d'oro a Cannes. Celebre presso l'Accademia Reale per i suoi modi, Mr. Turner era solito esprimersi più a grugniti che a parole, tratto non facile da rendere al cinema ma qui reso magnificamente da Spall che è espressivo nel suo essere di poche parole, i rapporti affettivi sono resi con semplicità gestuale ed espressività profonda.
A dominare, però, è la fotografia, qui curata da Dick Pope, che fa del paesaggio molto più che una spalla alla narrazione, quanto un involucro di meravigliosa intensità. La luce depone il suo fascino su uomini spesso sporchi e logori, la cui resa realistica è spietata. I personaggi parlano l'inglese dell'epoca, spesso difficile da comprendere, e la vita di tutti i giorni è decritta nella sua infinità di momenti spenti e attimi abbaglianti. Probabilmente, come unica nota negativa al film, avremmo voluto vedere una maggiore densità di eventi, magari nell'approfondire il rapporto tra Turner e gli altri membri dell'accademia, Constable su tutti. In 150' di visione, però, non ci si annoia, e lo spettatore resta vigile e partecipe, totalmente calato nei ritmi lenti della quotidianità vittoriana.

RICETTA
Sul numero di Natale della rivista di Cotto e Mangiato c'è una ricetta che ho letteralmente adorato. Il piatto è un tripudio di colori e sapori che si sposa benissimo con il clima invernale e con un film variopinto nei toni e nelle immagini.
Mi scuso per la scarsa qualità della foto, ma sono sicura che il risultato della ricetta sarà di vostro gradimento.
Involtini al radicchio e melograno
INGREDIENTI
Controfiletto di manzo intero, 720 g
cipolla bianca 100g
radicchio trevigiano 700 g
melograno in chicchi 200 g
patate 400 g
pinoli 30 g 
olio e.v.o 100 ml
burro 100 g
vino bianco, un bicchiere
brodo
scalogno
pecorino in scaglie
sale e pepe qb

Tagliate il radicchio dopo averlo lavato e liberato dalle foglie più esterne. Rosolatelo in padella con cipolla, pinoli e olio, salate liberate dall'acqua in eccesso e mettete da parte. Tagliate le patate a cubetti e mettetele in forno senza grassi, su una teglia con carta forno per non farle attaccare.
Tagliate il controfiletto in fette alte quanto un dito, irroratele di olio, aggiungete sale e pepe in grani e lasciate riposare qualche minuto. Infine cuocetele su una piastra ben calda secondo il livello di cottura desiderato.
Prendete il melograno, tagliatelo a metà ed estraete i semini. Metteteli in padella con lo scalogno e il vino bianco, lasciate sfumare e cuocete ancora con un mestolo di brodo, riducete ed aggiungete il burro (io ho aggiunto un cucchiaino di zucchero di canna per esaltare la dolcezza del melograno, n.d.).
Tagliate la carne già cotta in fette sottili, formate degli involtini farciti con il radicchio e che sigillerete con uno stuzzicadenti. Cospargetele con scaglie di pecorino e infornate per pochi minuti. Servite con le patate bagnate con la salsa al melograno.

sabato 24 gennaio 2015

ITALIANO MEDIO (M. Macchia, 2014)

Giulio Verme (Maccio Capatonda) sin da piccolo coltiva il desiderio di fare la differenza (e la differenziata) rispetto agli altri. Nato in una famiglia qualunque da due genitori teledipendenti, è vegano, animalista, ambientalista e vive in una casa fatta di materiali riciclati con la fidanzata Franca (Lavinia Longhi). Un giorno bussa alla sua porta Alfonzo (Herbert Ballerina), ex compagno di scuola, che gli offre una pillola in grado di portare al 2% le funzioni cerebrali. Giulio abbandona così ogni inibizione trasformandosi, per qualche ora, nella persona che sempre aveva dichiarato di odiare.

Da più di dieci anni i fan di Maccio Capatonda (sì, Marcello Macchia) attendevano un lungometraggio. Tutti guardando i finti trailer ( Mobbasta, La Febbra, Il Vecchio Conio, per citarne alcuni) si sono divertiti immaginando che si potesse trattare di film reali, ebbene proprio da uno di questi nasce Italiano Medio. Di materiale da cui attingere ce n'era in abbondanza e nel film non mancano citazioni di vecchi lavori televisivi: c'è Mariottide, c'è il Passante di Professione, c'è l'Usciere. Tuttavia non correrò il rischio di parlare di questo film solo a chi conosce Maccio Capatonda, voglio farlo anche per chi non lo conosce e rivolgermi a quelli che sicuramente diventeranno nuovi affiliati. 

In sala dal prossimo 29 Gennaio, il film sta già riscuotendo le lodi dei critici più scettici. Incentrato sulla storia di un uomo fin troppo banale nel voler essere diverso dagli altri, Italiano Medio è uno sguardo sarcastico all'Italia delle contraddizioni, quella dove si può mangiare il porco fritto ed essere vegani, non voler guardare la tv e commentare i reality sui social network, essere politicamente impegnati e dichiarare "ma che ca**o me ne frega a me?". Già dai titoli di testa (dove compare l'indimenticabile Bruno Liegibastonliegi), Maccio finge come sempre di non prendersi sul serio, ma la storia mantiene per tutta la durata una messa in scena divertente e assolutamente credibile. Amante del nonsense e dell'assurdo, l'autore farcisce il racconto di tantissime citazioni cinematografiche ( tra cui Fight Club, Arancia Meccanica, Forrest Gump, Ocean's Eleven e soprattutto Limitless), - cosa che piace sempre tanto ai critici -, e sebbene siano tante le frasi-tormentone che fanno da raccordo nelle varie scene ( aMeChemenefregaAmme, scopare, sant'Iddio) mantiene sempre lucido il proprio punto di vista: l'italiano medio non è fatto di medietas ma di contraddizioni evidenti; tra l'uomo impegnato e l'uomo menefreghista vince l'uomo furbo, quello che si adatta e fa della propria sventura un vanto. 

Maccio Capatonda gioca tutte le carte nell'opera prima e, sebbene i suoi attori non siano professionisti anzi, molti di loro non avevano mai recitato più di una frase in un video per la tv, dietro c'è un lavoro di regia assai accurato. Nel cast anche Raul Cremona, Lo Zoo di 105 e Nino Frassica che compaiono in divertenti camei. Ad emergere oltre ad una satira genuina ed intelligente, è uno sconfinato amore per il cinema ed una cultura cinematografica tecnica e teorica molto ben dosata che, seppur con qualche limite (è pur sempre un esordio) non mancherà di coinvolgere il pubblico di ogni estrazione sociale.

RICETTA
Qui la ricetta è fin troppo facile da trovare. Ovviamente l'ingrediente base sarà il "porco", perché s devi mangiare qualcosa in onore di Giulio Verme che da vegano va a farsi un panino al "Porco Sventrato", allora la ricetta non può essere che questa

8 fette di filetto di maiale
4 uova300 g di pangrattato
olio per friggere q. b.
sale
Battete le fette di filetto di maiale con il batticarne avendo l'accortezza di inserire la fetta tra due fogli di carta forno, questo vi aiuterà a non sfilacciare la carne.
Preparate, quindi, la panatura: aprite le uova in una terrina e sbattetele leggermente con un pizzico di sale con una forchetta. Versate in una terrina, o direttamente sul piano di lavoro, il pangrattato. Intanto accendete il fuoco sotto l'olio per fritture affinché possa avere il tempo di scaldarsi. Passate le fettine dapprima nell'uovo e poi nel pangrattato.Tuffate nell'olio le fettine, una alla volta per friggerle fino a doratura uniforme.Una volta fritte, prelevate le cotolette dall'olio scolandole il più possibile ed adagiatele su fogli di carta paglia o carta assorbente per asciugarle dell'unto in eccesso. Salate le cotolette solo poco prima di servirle. Servite le cotolette ancora calde accompagnandole con dell'insalata fresca e se volete, degli spicchi di limone.

lunedì 19 gennaio 2015

L'AMORE BUGIARDO - GONE GIRL (D. Fincher, 2014)

Nick (Ben Affleck) ed Amy (Rosamunde Pike) sono sposati. Il giorno del quinto anniversario, però, lei scompare. Mentre tutti gli indizi sembrano portare all'ipotesi dell'omicidio, i media alimentano i sospetti su Nick.

Il film si apre con il racconto in prima persona di Amy. Dalle pagine del suo diario sappiamo come è cominciata la storia d'amore, che rapporto avevano entrambi con le rispettive famiglie, che tipo di vita conducevano a New York prima di trasferirsi nella periferia anonima del Missouri. Lei è la donna perfetta, intelligente, colta, bellissima. Lui è un marito apprensivo, ironico, affascinante. Alle delusioni ed ai fallimenti sul piano professionale ed economico, i due sembrano contrapporre un legame solido da difendere perché tutto il resto "è solo un sottofondo".

Lentamente il matrimonio deflagra come ogni altra certezza presunta. Con la crisi economica ed il senso di sicurezza che viene meno, le impalcature sociali scricchiolano e la maschera cade. Il matrimonio è uno status per cui scegliere qualcuno e diventare ciò che lui vorrebbe, l'equilibrio nella coppia è un cedere ed accontentare, tanto che essere desiderabili diventa la recita di tutta una vita; il confine tra ciò che si diventa e ciò che si era non è mai percepibile. Tra i due Nick è un ingenuo, l'aura di fascino e desiderabilità è una conseguenza del riflesso di Amy. A sua volta, lei è la fantastica Amy dei libri scritti da sua madre, una sorta di sé surrogato con cui confrontarsi per tutta una vita in una dimensione familiare anaffettiva.

Gillian Flynn, autrice del romanzo Gone Girl e sceneggiatrice per David Fincher, scrive un thriller intricato che trova nella firma registica dell'autore di Seven e Fight Club, una trasposizione visiva conturbante. Quando il punto di vista cambia assumendo lo sguardo di Amy, tutto viene ribaltato. Realtà e finzione sono talmente mescolati che non se ne distinguono i limiti, tutte le verità sembrano credibili, tutti gli inganni legittimi. Amy è vittima di Nick, ma ancor più lo è di se stessa, della gabbia tessuta sulla propria immagine. Ogni uomo che le è accanto la percepisce come una proprietà, e come tale si consegna nelle sue mani, con compiacimento masochistico. C'è un continuo incedere nella perversione della normalità da quando Fincher decide di dare al "contorno" uno spazio sempre più ampio e soffocante, la coppia non esiste ed il "sottofondo" ne decide le sorti. Lentamente i due protagonisti perdono ogni fascino e bellezza, e quel che è peggio è che non sono antipatici, né simpatici, semplicemente perdono spessore nel rumore che cresce. L'epilogo non arriva mai, non nel senso di giustizia, resta solo il senso d'impotenza, e tutto sembra ancora normale.

RICETTA
Un film che ti tiene incollato allo schermo per 149' merita una ricetta appiccicosa, no? La ricetta è di Omin Pepato


Torta Appiccicosa agli Agrumi con Miele al Gelsomino

Ingredienti:
230 gr di farina e lievito Molino Chiavazza
  • 130 gr di burro
  • 150 gr di zucchero
  • 3 uova
  • 1 barattolo di Fiordifrutta Limoni Rigoni di Asiago
  • 1 cucchiaio di Spumadoro
Per la copertura:
  • 4 cucchiai di Miele di Fico d'India
  • 1 cucchiaino di Aroma Gelsomino Flavourart
Procedimento:
Montate tutti gli ingredienti per il dolce nel robot, finché il composto non sarà spumoso. Versatelo in una tortiera imburrata di 20 cm di diametro e infornate a 160° per circa un'ora o finché uno stuzzicadenti introdotto al centro del dolce non ne uscirà asciutto.
Sfornate e bucherellate la superficie con uno stuzzicadenti. Scaldate il miele sul fuoco fino a renderlo fluido, spegnete il gas e aggiungete l'aroma al gelsomino. Versate sul dolce ancora caldo.
Lasciate raffreddare bene prima di affettare.

Omaggio a WES ANDERSON.


La carriera cinematografica di Wes Anderson ha inizio nel 1996 quando prende forma il lungometraggio Bottle Rocket - Un Colpo da Dilettanti, tratto dal cortometraggio presentato due anni prima al Sundance Film Festival. I primi passi nella cinematografia avviano il sodalizio con i fratelli Owen, Luke e Andrew Wilson, i primi due protagonisti del film di cui il Owen è anche co-sceneggiatore.
Del 1998 è il secondo lungometraggio, Rushmore, con Jason Schwartzman e Bill Murray. Ma il successo arriva nel 2001 con l'indimenticabile The Royal Tenenbaum. Da questo momento in poi è più semplice seguire la cronologia delle opere di Anderson, quasi sicuramente chi ha visto il film del 2001 e sta ora leggendo questo articolo, ha trascorso gli ultimi 14 anni a monitorare il regista in attesa di una nuova opera ed ha visto i successivi film: Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2004), Il treno per il Darjeeling (2007), Fantastic Mr. Fox (2009), Moonrise Kingdom (2012), Grand Budapest Hotel (2014).

A colpire, in Wes Anderson, è la coerenza. Dal primo all'ottavo film si assiste ad uno stile in ascesa, un'evoluzione ben calibrata verso la compiutezza. Ogni film è in grado di portare una propria e costante visione del mondo che prende forma nella simmetria delle inquadrature e in lunghi piano-sequenza, mentre le scelte tematiche riguardano i percorsi di formazione di personaggi eccentrici e sognatori, alieni di civiltà poco caratterizzate.
 


Riconoscere un regista dagli elementi ricorrenti nella sua cinematografia è sicuramente un segno di autorialità intesa nel senso che le diedero i cinefili dei Cahiers du cinema, ma l'autorialità si misura anche nel grado e nella ricercatezza del citazionismo. Sicuramente interessante è il lavoro del critico e cineasta Matt Zoller Seitz, che in un documentario diviso in cinque episodi, the Substance of Style, ha rintracciato i riferimenti cinematografici di Wes Anderson in alcune di Orson Welles, Martin Scorsese, Richard Lester, Mike Nichols, Bill Melendez, Hal Ashby e François Truffaut. Uno stile che attinge dalla cinematografia, dunque, ma anche dalla cultura fumettistica. Seitz, infatti, confronta alcune scene del film Rushmore con le sequenze di A Charlie Brown Christmas (Bill Melendez, 1965), il film animato tratto da i Peanuts, le celeberrime strisce create da Charles Shulz. Non è difficile cogliere il paragone se si pensa ai personaggi di Anderson: sono delle anime candide e sognatrici, proprio come Charlie Brown e i suoi,  riuniti a loro volta in una simpatica famiglia di caratteri che tornano e si inseguono nei diversi film. Ragazzini seri come gli adulti ed adulti intrappolati in animi da ragazzini . Giovani uomini malinconici e bambini determinati e sicuri, tutti "ugualmente diversi" ed emotivamente complessi.

Ma torniamo al primo lungometraggio, Bottle Rocket: la storia riguarda due amici che vogliono mettere su una banda di rapinatori, progetto che verrà minato dalle contingenze e dai pessimi metodi organizzativi (tra le citazioni proposte da Seitz, qui ci metterei I soliti ignoti di Mario Monicelli, soprattutto per la sequenza dell'ultimo colpo).
Se da un lato sembra difficile riconoscere lo stile che tanto ci è familiare, dall'altro è anche vero che alcuni tratti della firma di Anderson sono già abbozzati. A pochi minuti dall'inizio, dopo la finta fuga del protagonista Anthony (Luke Wilson), l'amico Dignan (Owen Wilson) gli espone l'idea di costituire una banda (a cui si aggiunge Bob perché ha la macchina) ed organizzare una serie di rapine distribuite in un piano settantacinquenale strampalato e sconnesso. Ecco, nel momento stesso in cui ci troviamo dentro una soggettiva sui fogli scritti a penna da Dignan, si ha la prima sensazione di essere in un film di Wes Anderson.
La vicenda si evolve -poco- nei vari tentativi dei protagonisti di diventare dei temibili criminali e sempre più si stempera in scene goffe (la rapina alla libreria è memorabile) e male organizzate. L'ultimo colpo, in particolare, è il più vivo scatto di personalità del regista fino a raggiungere l'epilogo nell'immancabile ralenti della scena finale. I protagonisti sono dei bambini in corpi adulti che durante il viaggio (altro tema ricorrente) fanno tappa per giocare con i fuochi d'artificio. La storia comincia con Anthony che "evade" dall'ospedale psichiatrico in cui si era ricoverato dopo un esaurimento nervoso, più avanti s'innamora di una cameriera paraguayana che non parla inglese, ma continua ad essere triste e malinconico perché il suo più grande problema è che agisce solo per il bene degli altri, mai per il proprio. Il deragliamento del piano, tuttavia, non è motivo di tragedia, ma un modo per poter comunque ammettere di aver provato a fare gli eroi, di guardare oltre l'orizzonte e sapere che si può ancora continuare a giocare.
Bottle Rocket è un primo assaggio di quel che sarà il cinema di Wes Anderson e del perché negli anni abbiamo avuto sempre più motivo di amarlo e di adorare il modo in cui fa delle debolezze e delle bizarrie umane un canale di fuga privilegiato.

RICETTA
Avete mai visto un film di Wes Anderson senza aver desiderato, almeno per un momento, di poter mangiare quello che mangiavano i personaggi del film? Spesso si tratta di semplici toast e grandi bicchieri di latte, dolcetti dai colori accesi, frutta viva e succulenta.
Di cibo e Wes Anderson avevamo già parlato nell'articolo su Fantastic Mr. Fox, del lontano 2010, ma ora che Grand Budapest Hotel sta raccogliendo nomination e premi in giro per il mondo, non posso non condividere la ricetta dei Courtesan au Chocolat, che sta spopolando sul web.


COURTESAN AU CHOCOLAT

La ricetta esatta per la Cortigiana au chocolat non è mai stata pubblicata o divulgata seguendo le volontà del signor Mendl. Tuttavia, le seguenti istruzioni sono state raccolte e adattate da diverse fonti “pirata” prese dagli archivi di Nebelsbad (compresa la ricetta del 1963 presa dalla cucina del Grand Budapest Hotel e stampata nel Lutz Daily Fact e che prevedeva l’uso di uova in polvere.)
La pasta :
Fai una pasta choux di farina, acqua , burro e uova . Anche se giuste proporzioni possono variare a seconda della propria altitudine e dell’umidità , si consiglia :
1 tazza di farina
1 tazza di acqua fresca
1/4 lb ( 1 panetto) di burro
4 uova sbattute in una ciotola
Un pizzico di sale
Un grosso pizzico di zucchero
Portate acqua, burro, sale e zucchero a ebollizione. Togliere dal fuoco e mescolare rapidamente la farina setacciata . Tornare di nuovo al bollore per qualche minuto, mescolando, quindi fate cuocere fino a quando la pasta forma un unico impasto. Lasciare raffreddare quanto basta per tenere le uova dalla cottura e mescolate in modo molto graduale con un grosso cucchiaio di legno.
Ricoprite un vassoio con una panno e formate un tubo con l’impasto che dividerete in piccoli mucchietti della dimensione di un cucchiaio. Avrete bisogno di formare palline di pasta di piccole, medie e grandi dimensioni (cucchiaio grande, cucchiaino piccolo e di dimensione di una nocciola) per comporre una cortigiana. Cuocere in forno a 350F ( 180 C ) per circa 25-35 minuti . I dolci più piccoli è meglio metterli su un vassoio separato perché cuociono più velocemente.
Togliere dal forno e con delicatezza, fare un piccolo foro allo choux per permettere al vapore di fuoriuscire .
Il riempimento
Una volta raffreddati, choux grandi e medi, deveono essere riempiti con una crema pasticcera di cioccolato, tuorli d’uovo e zucchero.
1 tazza e mezza di latte intero
Molti pezzi grossi di cioccolato fondente
3 tuorli d’uovo
1/4 di tazza di zucchero
2 cucchiai di cacao in polvere 1 cucchiaio di farina di amido di mais per addensare.
Scaldare il latte piano piano e aggiungere il cioccolato, mescolando per scioglierlo, finchè diventa un fumante cioccolato al latte.
Sbattere i tuorli d’uovo, la farina, lo zucchero, il cacao e un paio di cucchiai di amido di mais in un impasto omogeneo. Aggiungere metà del latte-cioccolata calda alla ciotola, un po’ alla volta, mescolando continuamente. Quindi aggiungere questa mistura nel resto del latte caldo, mescolando a fuoco dolce per qualche minuto fino a quando il composto si addensa ad una crema. Togliere dal fuoco e freddo.
Assemblage
Una volta raffreddato la crema di cioccolato in una tasca da pasticcere e spingetela dentro alle palline di pasta grandi e medie.
Preparate lo zucchero a velo, un pizzico di vaniglia e il latte sufficiente per raggiungere la consistenza desiderata . Separare in 3 piccole ciotole e aggiungete del colorante alimentare per ciascuno – uno rosa, uno lavanda, uno verde pallido. Preparate anche una piccola quantità di glassa bianca.
Per assemblare una cortigiana, immergere una grande palla di pasta frolla ripieno nella glassa rosa (nel mezzo) e posizionarla su un piccolo vassoio. Ripetere con la pallina di media grandezza nella glassa lavanda e piazzatela sopra a quella rosa. Premere delicatamente così si attacca bene. Ripetere la stessa operazione con la palina più piccola nella glassa verde quindi posizionarla in cima a quella mediana. Decorare con un filo di glassa bianca, se lo desiderate. Infine posizionate una fava di cacao in cima alla torre come guarnizione .
Servite fresco.

giovedì 15 gennaio 2015

THE LADY - L'AMORE SCONOSCIUTO ( L. Del Santo, 2014)

Perché parlare di THE LADY in un blog che si è sempre occupato di Cinema (con la maiuscola) e Cucina (vedi sopra)? Perché l'ho promesso a qualcuno.

Bene, detto ciò, ormai la verità è evidente: ho visto TUTTA la serie The Lady-l'amore sconosciuto, il prodotto più trash e più atteso dal popolo del web. Il mio scopo, qui, non è lasciare traccia del mio giudizio né criticare il lavoro di qualcun altro (sarebbe come sparare sulla croce rossa), bensì analizzare una traccia del nostro contemporaneo più evidente, prendendo atto di un andazzo culturale ormai sedimentato. E sono ben consapevole che, nel mio piccolo, potrei contribuire ad incentivare la fama di Lory Del Santo, la sua continua richiesta di attenzioni, e magari consacrarla finalmente come l' Ed Wood del nuovo millennio. 


La trama.
Lona (Gloria Contreras) è una giovane imprenditrice, pur avendo ereditato fama, lavoro e denaro dalla morte del marito in un incidente aereo. Si occupa di moda, viaggia molto ed ogni maschio che le si avvicini non perde occasione per farle notare di quanto testosterone disponga per lei, cosa che fa inviperire il fidanzato Luc (Costantino Vitagliano).

Per la prima volta assistiamo ad una serie (o film ad episodi, ancora non lo sappiamo) in cui ogni singolo episodio ha una sigla diversa. Sì perché a rendere memorabile questo prodotto non è una OST mirata ad interpretarne gli umori, bensì una carrellata infinita di corpi modellati e figure sinuose.
Ogni episodio ha un'ambientazione diversa perché Lona viaggia spesso, e perché Lory Del Santo ci teneva a traghettare per mezza Europa la sua personale immagine del successo. Essere belle e ricche è la chiave di tutto, sembrerebbe. In realtà Del Santo prova a rendere alle sue immagini blu (sapiente è l'uso della fotografia, soprattutto nel bilanciamento del bianco) una profondità emotiva ben più complessa, che si esprime negli improvvisi monologhi della protagonista. Lona interroga chiunque sul senso dell'amore e trascorre lunghe ore, tra un cambio d'abito ed un altro, sul terrazzo a guardare l'orizzonte pensando ad alta voce.

Ogni momento è un buon pretesto per mostrare pezzi di carne umana. Nel secondo episodio è la volta degli uomini che si propongono per un ruolo di bodyguard  (encomiabile la presenza di Gigondo, nel video sotto), mentre nel terzo sarà il momento delle donne hostess-ballerine-bellapresenza, e in entrambi i casi il colloquio finisce sempre con qualcuno che si spoglia. Insomma Lory Del Santo è figlia dei suoi tempi, non sembra esser mai uscita dal tunnel del Drive In (il programma di Antonio Ricci che l'ha lanciata negli anni '80), anzi la sua carriera si è arricchita attingendo a piene mani dal panorama mediatico degli anni del berlusconismo più puro, di cui Maria De Filippi è il prodotto più evidente. Ma la Del Santo ci tiene ad affermarsi e rilanciarsi a tutto tondo rischiando ogni ruolo possibile nel suo film, tanto da essere oltre che produttrice e regista, anche sceneggiatrice, costumista, cameraman.



Di cose se ne sono dette tante e in tanti modi, ed anch'io come Daniel Montigiani nel suo articolo pubblicato da PaperStreet (leggetelo, vi prego!) vorrei azzardare un'analisi più puntuale. A persistere tra le immagini create da Lory Del Santo è il gusto attraente e disturbante del Kitsch nello Chic, quel senso interdetto tra la ricerca del bello e la rinuncia al bello. Lona/Lory cerca di mostrarsi per quello è, ma sta proprio nel suo esporsi la mancanza di comprensione, circondata da beceri individui che agiscono come scimmie ammaestrate a fare palestra e allo stesso tempo espressa da un corpo troppo bello e da riflessioni di una psicologia che non sente proprio la necessità di farsi capire. I dialoghi sono retti dal più assoluto non sense e sebbene la trama sembri avvolgersi attorno ad un lynchano nastro di Moebius, che troverà la luce solo da un'analisi a posteriori, in realtà può spiegarsi solo con un deragliamento che, in linea temporale, più che avanti, va indietro nel tempo. Se cercate un senso a The Lady, infatti, non lo troverete nell'ultima puntata (SPOILER) perché non saprete mai se c'è davvero un maniaco che la segue, né se Luc la ama davvero, né chi o cosa fossero tutti i personaggi elencati. Il senso sta nel precedente cortometraggio di Lory Del Santo, The Night Club - Osare per credere, ed è tutto concentrato nella frase finale: essere esibizionisti non è un difetto ma un pregio, l'esibizionismo fine a se stesso, dunque, che sia un corpo, un pensiero sconnesso, un sentimento.  

RICETTA
Questa volta per la ricetta attingo direttamente da un altro blogger, qualcuno specializzato nel surreale, tant'è che non gli dispiacerà un po' di pubblicità in più. Il blog è notizieimparzialiomeno.blogspot.com e la ricetta è tratta dalla "Rubrica di cucina" di Dicembre 2014.

Pollo alla piastra di Elisabetta Canalis
Prendete una fetta di petto di pollo e mettetela su una piastra o su una padella ben calda. Quando il colore della carne diventa bianco, la pietanza è pronta.

mercoledì 14 gennaio 2015

ORANGE IS THE NEW BLACK. Prima e Seconda stagione.

Sì, una serie tv. Orange is the New Black è una rivelazione, uno spettacolo intenso, corale, autentico. La serie nasce da un'idea di Jenji Kohan ed è tratta dal romanzo autobiografico di Piper Kerman. La trama è più o meno la seguente:


Piper Chapman (Taylor Schilling) è una ragazza bionda, borghese, americana (wasp). Come molte ragazze bionde, borghesi e americane ha un fidanzato scrittore (Jason Biggs) che vuole sposarla, è felice e trascorre le vacanze con lui. Piper ha 34 anni e per lavoro produce saponi fatti in casa con la sua amica di sempre, Polly (Maria Dizzla). E come molte ragazze bionde, borghesi e americane, Piper ha avuto la sua buona dose di esperienze "trasgressive", tant'è che un giorno le viene presentato il conto per esser stata coinvolta, dieci anni prima, in un traffico internazionale di droga dalla sua ragazza Alex Vause (Laura Prepon) . Dovrà scontare 15 mesi nel carcere federale femminile di Litchfield.


Dunque la trama è "una volta ho fatto una cazzata ed oggi so che era una cazzata bella grossa". E l'idea non potrebbe essere meglio, davvero!
Dramma carcerario non può essere la qualifica principale di OITNB,  perché non è greve, ma spesso leggero e godibile. Taylor Schilling ha un'espressività intensa, con lei ogni minuto può cambiare in intensità emotiva. La forza del suo personaggio, che nella prima stagione è assolutamente protagonista, sta nel coinvolgere a tutto tondo lo spettatore non nella tragedia del trovarsi in carcere e con ogni probabilità essersi rovinata la vita, ma nei piccoli drammi personali che derivano dal non essere più al centro del proprio mondo. Il carcere è un'esperienza straniante, tutto ciò che c'era prima entra ed esce di scena per perdere gradualmente contorno mentre i personaggi della prigione acquistano spessore. C'è Sam Healy, la guardia carceraria che le fa da tutor fissata con le lesbiche; Galina "Red" Reznikov, la signora russa che gestisce la mensa e che detta legge tra le detenute; Nicole "Nicky" Nichols, ex eroinomane e protetta di Red; Lorna Morello, che progetta il suo matrimonio con il fidanzato che la attende; Tiffany "Pennsatucky" Doggett che crede che Dio parli attraverso lei; e, soprattutto per questa prima stagione, c'è Suzanne "Crazy Eyes" Warren che corteggia Piper per diventarne la moglie. Ci sono tanti altri personaggi che non ho nominato (ad esempio George "Pornobaffo" Mendez, che in lingua originale è Pornstache)  e, non ultima, arriva proprio Alex Vause, risvegliando in Piper emozioni sopite e ricordi fin troppo vividi.

Dramma ed ironia camminano insieme, la sceneggiatura è piena di riferimenti alla cultura contemporanea, ( l'iPhone, le serie tv Mad Men e Oz ...)  e si costruisce via via non sui soliti stereotipi da galera, né sul femminismo più scontato, ma su un'infinità di caratteri tutti ugualmente importanti. OITNB, dicevamo, è un racconto corale, ogni detenuta ha una storia che le appartiene (aspetto maggiormente sviluppato nella seconda stagione) ed ogni detenuta fa la sua parte in un ingranaggio di equilibri più o meno stabili. L'aspetto drammatico viene stemperato in un clima di collaborazione che si instaura tra diversi gruppi sociali sì divisi per caratteristiche prevalentemente razziali (le nere, le ispaniche, ma anche le tossiche e le anziane) ma difficilmente in conflitto. Sembra che a tenere unite le detenute, ed a stemperare ulteriormente il clima, sia proprio la presenza maschile delle guardie. Goffi, ridicoli, teneri, paranoici, infantili, sessuomani, penosi, gli uomini sono i guardiani senza potere di un micro universo tutto al femminile che li coinvolge, li deride, li ammonisce. Spesso caricatura di se stessi (Healy è un uomo insicuro e "castrato"; Mendez "Pornobaffo" ostenta un machismo di cui è vittima più che carnefice; Joe Caputo cerca di conciliare una sensibilità più evoluta di quella del suo alter ego femminile, Natalie Figueroa, con un ruolo di comando quasi mai rispettato) sono ostaggio della femminilità che governa il posto, frustrati ed impotenti sporadicamente esordiscono con immotivati atti di forza, tanto per riaffermare un potere che comunque svanisce subito dopo.

In tutto ciò Piper, dicevamo, affonda sempre più nel "personaggio" del carcere. Unica figura ingombrante, il luogo finisce col diventare esso stesso personaggio. La mancanza di orizzonti, la sporcizia, la struttura fatiscente, gli impianti idrici ed elettrici, la mensa, sono i caratteri del mondo "temporaneo" delle detenute, che mette in discussione ogni certezza maturata in precedenza ridimensionando e riadattando la socialità al suo interno. A rompere gli equilibri arriva, nella seconda stagione, Vee (Lorraine Toussaint), imponendosi come nuova figura al comando, importando tra le mura del carcere gli stilemi di segregazione e comando che all'esterno aveva imposto alla sua "famiglia". Sebbene Vee provi ad essere un elemento di rottura, è anche grazie a lei che la seconda stagione lascia emergere il vero punto di forza della serie, ovvero una maggiore coralità del racconto. La caratteristica che fa del racconto qualcosa di unico rispetto a tutte le altre serie fino ad ora ambientate nel carcere, è il fatto che non gioca su colpi di scena rocamboleschi come fughe a perdi fiato e dinamiche perverse e misteriose. Nonostante Vee provi a minare la stabilità del posto, l'unico desiderio comune a tutte le altre è di poter mantenere un clima sereno, una tranquilla normalità da poter coltivare e gestire serenamente. Le detenute di OITNB non sono persone "speciali", ossia diverse da qualunque altra persona potremmo incontrare per strada (in questo sta la grande novità), sono donne normali che hanno commesso dei crimini. Sono donne che abitano il carcere e che tentano di abitarlo nello stesso modo in cui abiterebbero casa propria. Non hanno bisogno di imporsi o controllare gli altri, vogliono solo vivere serenamente occupando il proprio ruolo, né è dato a noi il bisogno di riconoscerle come diverse, di empatizzare con loro piuttosto che con i secondini o viceversa. Ogni personaggio è talmente ricco di sfaccettature che si può essere più o meno d'accordo con lui, amarlo e odiarlo allo stesso tempo. E intanto, tra loro, Piper trova via via una dimensione di sé più vera delle costruzioni sociali cui si era arresa in famiglia, tra una madre-manichino, un fratello infantile ed un padre quasi assente.

Dunque, detto ciò, non resta che attendere da Netflix la terza stagione e terminare l'articolo con il testo della sigla capolavoro appositamente creata e cantata da Regina Spektor, You've got time.


The animals, the animals
Trapped, trapped, trapped 'till the cage is full
The cage is full
Stay awake
In the dark, count mistakes
The light was off but now it's on
Searching in the ground for a bitter song
The sun is out, the day is new
And everyone is waiting, waiting on you
And you've got time
And you've got time

Think of all the roads
Think of all their crossings
Taking steps is easy
Standing still is hard
Remember all their faces
Remember all their voices
Everything is different
The second time around

The animals, the animals
Trapped, trapped, trapped 'till the cage is full
The cage is full
Stay awake
In the dark, count mistakes
The light was off but now it's on
Searching in the ground for a bitter song
The sun is out, the day is new
And everyone is waiting, waiting on you
And you've got time
And you've got time
And you've got time

RICETTA.
Cercando una ricetta per questo articolo ho scoperto il mondo della letteratura culinaria carceraria. In Italia sono diverse le pubblicazioni circa la vita nel carcere, tanti i modi in cui le abitudini della reclusione sono uscite al di fuori. Alcuni tra i titoli che trattano proprio di cucina sono Ricette al fresco. Gli 85 modi di cucinare nel carcere di Pisa (Edizioni ETS, 2012); Il Gambero nero. Ricette dal carcere (Derive Approdi, 2005); Avanzi di galera. Le ricette della cucina in carcere (Guido Tommasi Editore, 2005).
La ricetta che vi propongo è un esempio tratto da quest'ultimo titolo, che potrete trovare a questo link e che copio di seguito.

Polpette di pane alla umile

INGREDIENTI
Pane del giorno prima
mezzo litro di latte
una patata
formaggio grattugiato
uova
filetti di acciughe
aglio
prezzemolo
sale q.b.
pepe q.b.
1 kg di pomodori pelati
una cipolla
pane grattugiato
olio di semi

N.b. La ricetta è stata trascritta così come è riportata nel libro.
Mettete il pane raffermo (quattro o cinque panini) nel latte per qualche minuto, fatelo diventare una poltiglia, quindi scolate più latte possibile. Tritate due spicchi di aglio con abbondante prezzemolo e le acciughe. Fate bollire la patata e passatela con un bicchiere attraverso lo scolapasta, dato che il passaverdura non è a disposizione di tutti .Fate un impasto del pane con la patata e il tritato, aggiungete tre tuorli d'uovo e un albume, del formaggio grattugiato abbondante, sale e pepe a piacere. Se l'impasto è troppo morbido mettete del pane grattugiato (non troppo). Preparate le polpette rotonde, o rotonde e schiacciate, come vi aggrada, e passatele nel pane grattugiato. Nel frattempo fate andare l'olio di semi in una padella e quando avrà raggiunto la temperatura di frittura ponetevi dentro le polpette fino a raggiungere il classico colore dorato, quindi ponetele in un piatto con della carta che assorba l'olio. Mettete a rosolare la cipolla tagliata a strisce e versatevi sopra il contenuto dei barattoli di polpa pronta. In uno dei due barattoli riempitelo per la metà di acqua e passatelo nell'altro in modo di non perdere neppure una parte della polpa contenuta, aggiungete un po' di sale e ponete nel sugo le polpette facendole andare a fuoco lento per quaranta minuti.

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