venerdì 30 luglio 2010

Baarìa

A metà del XIX secolo Gustave Courbet ritrasse tutte gli abitanti di Ornans, suo paese natale, nel dipinto intitolato "Funerale a Ornans". I volti che vi figurano hanno espressioni ingenue, quelle di chi mai si aspetterebbe di essere ritratto in una tela imponente.
Giuseppe Tornatore, con Baarìa (2009), in modo analogo, tenta di raccontare la sua Bagheria. Tuttavia non si sofferma su un singolo avvenimento, ma tenta di comporre un' opera che abbia respiro epico. Le vicissitudini di una singola famiglia scandiscono lo scorrere del tempo per tre generazioni, attraversando la storia d’Italia e della Sicilia dal ventennio fascista al tramonto della Democrazia Cristiana.
A fare da collante è la luce assolata del sud, la luce vivida dei ricordi e del romanticismo che li alimenta. E, come nel dipinto di Courbet, si affollano volti riconoscibili e volti attoniti. Camei di attori celeberrimi ed espressioni ingenue. Un affresco colossale ma, ahimè, dispersivo.
Prima che Baarìa arrivasse nelle sale eravamo già tutti pronti ad acclamare il nostro colossal paesano. L’impresa epica della cinematografia italiana, apologia della sua storia e dei suoi valori. Ma il risultato è un affresco paesaggistico in cui i singoli personaggi si disperdono. Uniformati da una luce troppo intensa perdono i contorni; si aggirano senz’anima e senza parte nel racconto storico eccessivamente didascalico. Tornatore pecca ingenuamente di voler dare il suo contributo alla visione storica di quegli anni. E lo fa con eccesso di zelo, affidando la fotografia al suo sguardo intimo e malinconico, la narrazione alle dimensioni mastodontiche dell’affresco storico. Se Courbet aveva racchiuso la sua Ornans nella quotidianità di un momento, lasciando in sordina ogni possibile perché, Tornatore lancia le sue figurine appena abbozzate sullo sfondo di una tela troppo piena.Piacevole è la traccia stilistica riconoscibile proprio nel dichiarato amore per il cinema, e che Tornatore non tralascia mai di denunciare. Da "Nuovo Cinema Paradiso" a "Baarìa" le immagini accarezzano con le dita frammenti di pellicola, ripensano al west di Sergio Leone e sorridono della purezza d'intenti con cui loro stesse si perdono nella nostalgia.

Se associassi al film una ricetta siciliana, meriterei a pieno titolo la denuncia di scontatezza. Invece vorrei proporre una ricetta ispirata proprio alla calura estiva, una ricetta che ben si accorda alla luce accecante di Tunisi/Bagheria e che va incontro alle esigenze dietetiche da prova costume.

INSALATA DI GRANO E TOFU
ingredienti
200g di grano
60g di tofu
una cipolla fresca bianca
100g di pomodorini
2 cetrioli
aglio
basilico
sale e olio q.b.

Bollite il grano in abbondante acqua salata e mettete a raffreddare in una ciotola con pochissimo olio. Tagliate i pomodorini ed i cetrioli a quadratini, condire con aglio basilico sale e olio. Lasciate insaporire. Intanto scaldate una piastra sulla quale griglierete la cipolla tagliata a listelle sottili ed il tofu appena salato. Appena si saranno dorati tagliate anche il tofu a quadratini e riunite tutti gli ingredienti nella ciotola con il grano. Decorate con basilico fresco e servite.

martedì 13 luglio 2010

LA PRIMA COSA BELLA


Anna Nigiotti in Michelucci (Micaela Ramazzotti/Stefania Sandrelli) è una donna molto bella, madre di due bambini, Bruno e Valeria. La gelosia assillante del marito la porta a fuggire di casa con loro Peregrinazioni notturne e ricoveri di fortuna fanno da sfondo alle vicende di una donna ingenua e sognatrice nella Livorno degli anni '70, per poi ritrovare gli stessi personaggi, trent'anni dopo, a fare i conti con la propria vita.

Nei film di Virzì si concentrano l'infanzia, il sogno, la vita. In mezzo a tutto ciò si annidano riflessioni e scoperte su quello che ci lasciamo alle spalle o che ancora è da venire. Una melodia dolceamara, già predominante in Tutta la Vita Davanti (2008), pervade anche quest'ultimo film.
Sebbene metta in scena la sua personalissima Livorno, e nella figura di Anna Nigiotti si annidi la personalità della signora Franca, la madre del regista, Virzì riesce a trasformare il tutto in "patrimonio comune". Livorno diventa il luogo da cui si fugge per poi voler tornare quando la vita è ancora più difficile, inspiegabile oasi dell'infanzia, della leggerezza lasciata sul cammino. Anna è "la prima cosa bella" della vita di ogni bambino, il modello da ammirare e da fuggire.
Un appassionante Valerio Mastandrea dà prova delle sue virtù abbandonando l'accento romano per quello livornese. In questa metamorfosi rende vivo il presentimento che la storia raccontata sia la storia di tutti, che l'accento è un accento qualsiasi, che la città è una delle tante città lasciate per studiare, lavorare, o semplicemente cambiate agli occhi di chi le ha sempre vissute. Perchè si può anche lasciare un luogo senza mai abbandonarlo fisicamente.

La struttura del film è giocata sull'alternanza temporale tra l'oggi ed i ricordi che coinvolgono i protagonisti, dal 1971 agli anni dell'adolescenza di Bruno. Due dimensioni che si intrecciano senza mai disturbare, dialogando tra loro. Virzì è uno sceneggiatore eccellente e lavora con ottimi alleati, tra cui Francesco Bruni e Francesco Piccolo. Inoltre la scelta degli attori è impeccabile. Sotto la sua linea guida prendono forma personaggi ben definiti, nessuno secondario. Così risulta assai piacevole seguire Micaela Ramazzotti sulle orme della Stefania Sandrelli di Io la conoscevo bene ( A. Pietrangeli, 1965), e vedere la Sandrelli in un ruolo che ne consacra ed esalta i precedenti. Di Valerio Mastandrea si è già parlato, ma accanto a lui Claudia Pandolfi dà vita alla sorella Valeria. Apparentemente soddisfatta e sicura di sé, vediamo una donna che allo stesso tempo ha conservato l'ingenuità e l'insicurezza della protagonista bambina. E ancora troviamo Marco Messeri, Paolo Ruffini, Fabrizia Sacchi, Dario Ballantini... tutti impegnati in una coralità mai scontata e ben misurata.
Insomma, un film che conferma Virzì nella schiera dei pochi autori della cinematografia italiana, catartico come un bagno a mare nelle acque di Livorno.


Credo che la scelta della ricetta questa volta non abbia bisogno di spiegazioni. Infatti si tratta de
IL POLPETTONE DI MIA MADRE
ingredienti
500g di carne tritata
250g di mollica di pane
4-5 uova
formaggio tipo silano
parmiggiano grattugiato
50g di prosciutto cotto o mortadella
spinaci lessi
pepe
sale
olio
prezzemolo
farina
sugo di pomodoro e basilico

Condite la carne tritata con sale, prezzemolo, un pizzico di pepe. Aggiungete la mollica di pane ed amalgamate il tutto impastando con le mani. Aggiungete 1-2 uova all'impasto. Con le uova restanti fate una frittata di spinaci lessi e parmigiano grattugiato (dovrà essere abbastanza sottile da poter essere arrotolata nel polpettone). Appena si sarà intiepidita, dividete l'impasto di carne in due parti. Adagiatele su un piano di lavoro e schiacciate con le mani. Al centro ponete un trancio di frittata, adagiatevi sopra 1-2 fette di prosciutto o mortadella ( a seconda delle preferenze) e qualche cubetto di formaggio. Chiudete i polpettoni facendo attenzione che il ripieno non fuoriesca. Passate i polpettoni nella farina e friggere in poco olio rigirandoli spesso. Quando si saranno dorati all'esterno calateli nel sugo di pomodoro bollente (che avrete tenuto a fuoco basso per tutta la durata della preparazione) per 45-60 minuti. Il tempo di cottura sarete voi a deciderlo in base alla consistenza del sugo desiderata.

giovedì 8 luglio 2010

...INFINITA LETIZIA DELLA MENTE CANDIDA...


Clementine: E se tu rimanessi questa volta?Joel: Se ne sono andati via tutti ... non c'è più nessun ricordoClementine: Almeno torna indietro e inventati un addio, facciamo finta che ci sia stato...


Joel (Jim Carrey) scopre che Clementine (Kate Winslet), la sua fidanzata, si è sottoposta ad un trattamento per cancellare dalla sua memoria ogni ricordo che riguardi la loro relazione. Si rivolge allora alla clinica Lacuna inc. per subire la stessa operazione. Tuttavia, mentre i medici lavorano alla cancellazione dei ricordi, Joel capisce di non voler dimenticare Clementine. Cerca di salvarla portandola nei luoghi più remoti della sua memoria.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind (M. Gondry, 2004), in Italia barbaramente distribuito col titolo Se mi lasci ti cancello, è molto più che una commediola d'amore. Tenta di raccontare quel bagliore inafferrabile che ogni storia d'amore conserva. Quel gusto che resta a fior di labbra, indipendente dai ricordi, belli o brutti che siano. Dimenticare non serve, non serve fuggire, è impossibile cancellare, ci si può solo inventare un addio. In un addio si può condensare tutto l'amore e il rimpianto. E' qui che la perdita ha il suo acme. Reinventarlo vuol dire chiedere perdono.

Michel Gondry sa giocare con la mente e con i sogni (e lo dimostrerà ancora, due anni dopo, con L'arte del sogno) e sebbene il montaggio frammentato e "d'effetto" tenda ad appesantire l'evolversi della storia, il risultato è un film che resta come il ricordo sfuocato di una sensazione. Attorno alla storia di Joel e Clementine si dipanano altre vicende di un cast eccezionale (Tom Wilkinson, Kirsten Dunst, Elijah Wood, Mark Ruffalo) per riportarci alla concretezza della quotidianità, tuttavia lanciata all'inseguimento della mente "infetta da Clementine" di Joel. Perchè Clementine è un virus. Non la si può nascondere nei ricordi più remoti dell'infanzia, perchè è già lì. In ogni anfratto della mente di Joel, Clementina può essere scovata e cancellata. Ma di lei può morire solo l'immagine. Quel simulacro che Joel aveva costruito nel corso della relazione. La vera Clementine è quella "luce infinita" che solo la mente candida può apprezzare, prima della conoscenza, prima del dubbio, prima delle incomprensioni. L'eternal sunshine che scompare dietro l'immagine che ci si costruisce dell'altro, che viene messa in ombra ed abbandonata, senza un addio.

A volte ci si perde nella portata lirica di questo gioiellino. La richiesta avanzata da Charlie Kaufman (già sceneggiatore di Essere John Malkovich -1999, Confessioni di una mente pericolosa -2002, Il ladro di orchidee -2002) è quella di trovare la strada, aiutati da momenti d'ironia e da altri più concreti e familiari. Gondry, invece, gioca proprio sulla possibilità di entrare a far parte dell'universo mentale di Joel, tenendo a freno la possibilità di incedere in effetti speciali destabilizzanti.
A contornare il tutto, marcando stretto quel lirismo cui si accennava, ci sono aforismi e citazioni dichiarati nel corso del film. Primo fra tutti il titolo tratto da un poema di Alexander Pope ( Eloisa to Abelard, 1717)...

How happy is the blameless vestal's lot. The world forgetting by the world forgot. Eternal sunshine of the spotless mind. Each prayer accepted and each wish resigned.


Com'è felice il destino dell'incolpevole vestale! Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata. Infinita letizia della mente candida! Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio.



Il piatto da abbinare al film dovrebbe avere a che fare con un ricordo, qualcosa di impalpabile. Ma così rischio di essere troppo banale, e di ripetermi anche! E se fosse impalpabile non sarebbe cibo. Allora la direzione da seguire è un'altra. Se il cibo fosse poesia cosa sarebbe? Forse una poesia di Neruda o uno stralcio dalle satire di Orazio. Ma se si dovesse mangiare?
Allora proporrei....

SORBETTO DI ANANAS E LIME
ingredienti:
225g di zucchero
600ml di acqua
la scorza grattugiata e il succo di 2 lime
1 ananas piccolo sbucciato, tagliato in 4 spicchi e tritato
biscotti per servire

Mettete lo zucchero e l'acqua in un tegame, fate scaldare a fuoco basso, mescolando finchè non si è sciolto. Portate a bollore e cuocete per 10 minuti. Aggiungete la scorza del lime e metà succo. Togliete dal fuoco e lasciate raffreddare. Passate l'ananas nel mixer, aggiungete lo sciroppo freddo e il succo di lime restante. Mettete il composto in congelatore finché non si sarà cristallizzato ai bordi. Trasferite in una terrina e mescolate bene con una forchetta in modo da rompere i cristalli di ghiaccio. Rimettete in congelatore per tutta la notte. Servite il sorbetto a palline con dei biscotti.

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