mercoledì 30 giugno 2010

CONTROL


Love will tear us apart again, e la vita di Ian Curtis si incolla enigmatica e lacerata alla fotografia di Anton Corbijn.
Bianco e nero, fumo dai comignoli, occhi marcati, musica.
L'esordio alla regia di Corbijn ha il tocco di chi guarda l'uomo, non l'artista, con rispettoso distacco. Non cede alla tentazione di un ritratto mitizzante e, come con le sue fotografie, ci consegna una linea priva di fronzoli.
Ian, cantante dei Joy Division, vive un successo non voluto, un amore sbagliato, una malattia che lo spaventa. Muore suicida a soli 23 anni.

Il fascino di Curtis rivive negli sguardi languidi e tormentati di Sam Riley. I Joy Division, band inglese formatasi sulle orme di David Bowie ed Iggy Pop attraversò come una meteora il più promettente scenario musicale nell'Inghilterra fine anni '70. Tuttavia lasciò la sua firma indelebile.

Così Curtis ha lasciato stralci della sua vita nelle canzoni. La poesia, mai alla ricerca dello stupore, come sincero e puro moto dell'anima, si fa strada nella ricostruzione postuma di ciò che resta dell'uomo. Corbijn prende tutte le immagini, la musica, la letteratura e le ripulisce per trovare in fondo, molto in fondo, un ragazzo con troppe responsabilità da sostenere e spalle troppo gracili.
I testi delle canzoni non si impongono né sostituiscono all'immagine.

Sam Riley diventa Ian Curtis e canta le sue canzoni, ci si domanda dove guardino i suoi occhi quando sembrano lacerare lo spazio oltre lo schermo. Control (2007) è la camera più oscura dell'inferno ("we knocked on the doors of the hell's darker chamber" Decades, 1980) contro cui Ian si scaglia per poterne uscire; la prima immagine è una stanza grigia, essenziale ma senza porte. L'ultima è il fumo nero di un comignolo che esala verso il cielo. Perdita totale del controllo, unica via di fuga, la morte.


Immergersi nelle sonorità spettrali dei Joy Division non lascia incolumi. Soprattutto non fa venir voglia di cucinare, tantomeno di mangiare ... Il film merita una pausa di riflessione e una birra. Ma il mio compito non è certo quello di liquidare le attese con soluzioni estremamente semplicistiche. Allora la ricetta deve aver a che fare con una sorta di risveglio dallo stato di trance in cui è facile incombere in queste circostanze.

Il consiglio è un dolce poco impegnativo, ma colorato, che trasmetta gioia e sia gustoso. Questa ed altre ricette potrete trovarle su www.ricettegolose.it


Pesche in salsa di lamponi
200 g. di Lamponi
4 Pesche gialle grandi
2 cucchiai di Zucchero a velo
2 cucchiai di Rum
12 palline di Gelato alla Crema
4 Uova
1 bustina di Vanillina
1 chiodo di Garofano
1 pizzico di cannella



Sbucciate le pesche, privatele del nocciolo e fatele a fette non troppo sottili. Fatele cuocere per 20 minuti in una casseruola a fuoco medio, con vino cannella e chiodi di garofano. Spegnete, fate raffreddare ed eliminate i chiodi di garofano. Lavate i lamponi e frullateli con zucchero, rum e vanillina fino ad ottenere una crema. Ponetelo sul fuoco a bagnomaria fino ad ebollizione mescolando di continuo. Servite il gelato accompagnato dalle pesche e la crema ai lamponi.

martedì 15 giugno 2010

BERGMAN COME NON L'AVETE MAI VISTO

Se dico Ingmar Bergman molti pensano a Il Settimo Sigillo (1956), altri a Persona (1966), altri ancora a Il Posto delle fragole (1957), ma a nessuno viene in mente L'ora del Lupo (1968).
L'ora del Lupo è uno di quei film inspiegabilmente sottovalutati dalla critica, esempio raro della folle personalità artistica di Bergman.
Il pittore Johan Borg vive su di un'isola con la moglie Alma, incinta. L'insonnia e l'incontro con gli strani abitanti del luogo conducono l'uomo verso uno stato sempre più evidente di paranoia. Incubo e realtà si fondono ed animano negli angusti corridoi del castello Von Merkens dove, ospiti del barone, Johan e Alma sono vittima delle trame degli astanti in un crescendo sempre più enigmatico e demoniaco.

Ingmar Bergman ci ha lasciato una cospicua quantità di scritti che riguardano al contempo la propria vita e la carriera. Non ci è fatto segreto dell'assoluta compenetrazione dei due universi, tantomeno del ruolo catartico che l'attività artistica ha significato per lui. Ossessionato da personali demoni, nevrosi e fondamentali carenze affettive, Bergman ha riposto nel cinema e nel teatro le sue àncore di salvezza. Meticoloso e preciso solo nel lavoro, ha dato vita ad una produzione senza pari per quantità e pregio.
Questo film sembra, ad uno sguardo superficiale, un'opera fuori dal coro. Cupo, enigmatico, emotivamente devastante, sembra non essere all'altezza del lirismo spesso emerso nei precedenti. Tuttavia è tra le più puntuali e sofferte dichiarazioni d'artista che il XX secolo ci abbia lasciato.

L'artista (Borg, interpretato da Max Von Sydow) viene a patti col suo universo psichico; ad accompagnare la sua caduta, nel tentativo di salvarlo, c'è Alma (Liv Ullmann). Lei incarna l'amore, l'unica speranza di salvezza dall'incubo e dalla follia. Così Bergman indugia sul volto dell'attrice nella scena in cui i due assistono alla messa in scena del Flauto Magico in casa Von Merkens. Firma allo stesso tempo una sua personale dichiarazione d'amore alla donna, incinta della figlia Linn, ed un'invocazione di salvezza al personaggio il cui volto invade lo schermo alle parole disperate di Tamino: Pamina ... Pamina.
Allo stesso tempo i demoni bergmaniani nascono da un sostrato culturale che ha le sue origini in E.T.A. Hoffmann e W.A. Mozart in una concatenazione di rimandi che spaziano dalle ossessioni psichiche dell'uno alla massoneria sofferta dell'altro.

Sebbene queste considerazioni sembrano dipingere un film difficile da interpretare, allora devo ricondurre l'attenzione sulla retta via e dire altro. Quest'opera ha dentro di sè tutto il pathos che ci si aspetterebbe da un horror dei più raffinati. Bergman anticipa le sinfonie ermetiche di Lynch ed orchestra temi come il rapporto di coppia, l'infanzia, la malattia mentale a scene di necrofilia, grottesco ed omicidio.
L'ora del Lupo è attesa, sofferenza, paura, disperazione, panico. Al culmine, ancora Liv Ullmann che, rivolgendosi al pubblico, chiede:

Una donna che vive a lungo con un uomo finisce per essere simile a lui. Dicono che se lei lo ama e cerca di pensare e vedere come lui si identifica con lui, come anche lui si trasforma nella forma di lei. Due persone che hanno vissuto tutta la vita insieme finiscono per somigliarsi. Fare tante esperienze in comune non solo cambia i pensieri, ma anche i volti, che a lungo andare finiscono per avere la stessa espressione.


Per chi avesse una buona conoscenza dei film di Ingmar Bergman, saprà di certo che in molti le scene a tavola sono alquanto sontuose e stuzzicanti. Per averne un esempio più che rappresentativo guardate l'ultimo capolavoro cinematografico del maestro, Fanny & Alexander (1982). La ricetta che vi propongo è sintomo dell'acquolina che tali scene causano.
Ovviamente si tratta di una ricetta svedese.
KANELBULLAR - ROTOLINI ALLA CANNELLAPer ulteriori informazioni rimando al sito www.ilricettario.splinder.com da cui è tratta

ingredienti
3dl latte
50gr lievito di birra
100gr burro a temperatura ambiente

540gr farina + farina per il piano di lavoro
1dl zucchero
1/2 cucchiaino sale
50gr burro a temperatura ambiente
3 cucchiai zucchero
1 cucciaio cannella in polvere

1 uovo
zucchero granellato

Riscaldate il latte in un pentolino. Sbriciolate il lievito in una grossa ciotola, versatevi un po' di latte e farlo sciogliere. Nel resto del latte aggiungete il burro, mescolando. Versate la farina un po' alla volta, poi il sale e lo zucchero. Dopo circa 5 minuti di lavorazione, quando l'impasto si stacca dalla ciotola, coprite con uno strofinaccio e lasciate lievitare per 30 minuti, o comunque fino a che non abbia raddoppiato le sue dimensioni. Mentre l'impasto lievita si può cominciare a preparare il ripieno, mescolando gli ingredienti (burro, zucchero e cannella) fino ad ottenere una crema omogenea. Infarinate il piano di lavoro e dividete l'impasto in due parti. Lavorate entrambi aggiungendo della farina se il composto si attacca alle dita.
Stendete un pezzo alla volta con il mattarello fino ad ottenere una
sfoglia rettangolare che assomigli nelle dimensioni a quella di una teglia da forno. Spalmate la cremina con un coltello non seghettato. Arrotolate e dividete ogni rotolo in 15 fettine. Disponetele in delle formine (come quelle per fare i muffin) o ben distanziate sulla carta da forno.
Lasciate lievitare, coprendo con uno strofinaccio, per 20 minuti. Intanto accendert il forno a 250°. Spennellate ogni "bulle" con l'uovo (dopo averlo sbattuto un po'). Distribuite su ogni pezzo un po' di zucchero granellato. Infornate la teglia a metà del forno lasciando cuocere per 5-10 minuti fino a che i rotolini non abbiano ottenuto un bel colore dorato. Fate raffreddare e servite.

domenica 13 giugno 2010

CINEPANETTONI E WOODY ALLEN

Avete ancora del panettone sopravvissuto al Natale che sta per scadere? Benissimo, prendetelo e tenetelo da parte finchè non avrete acquistato gli altri ingredienti che vi vado ad elencare.

BURRO
CANNELLA
800ml DI LATTE

LA BUCCIA GRATTUGGIATA DI UN LIMONE
1 BICCHIERINO DI MARSALA
1 BICCHIERINO DI RUM
4 UOVA
120g DI ZUCCHERO
1 BUSTINA DI VANILLINA
PANETTONE DA 300g

Tagliate il panettone a fette sottili, irroratelo con rum e marsala, coprite e lasciate riposare per 15 minuti coperto da pellicola trasparente. Intanto fate bollire il latte, aggiungete la buccia del limone ed un cucchiaino di cannella. Lasciate intiepidire. Filtratelo con un colino. Separate i tuorli dagli albumi. Montate i tuorli con lo zucchero ed aggiungeteli alla crema di latte. Aggiungete il panettone sbriciolato e gli albumi montati a neve ben ferma, mescolando dal basso verso l'alto con un cucchiaio di legno per non smontarli. Versate in un recipiente da budino imburrato e cuocete a bagnomaria in forno a 200 gradi per 40 minuti. Toglietelo quando si sarà dorato e sformatelo su un piatto da portata quando si sarà raffreddato. Decorate con panna montata e cioccolato fuso.


Il problema del cinema arriva fatalmente a duplicarsi in un problema di teoria del cinema, e noi non possiamo prelevare conosc
enza se non da quello che siamo (quello che siamo in quanto persone, quello che siamo in quanto cultura e società); come nelle lotte politiche dove le nostre sole armi sono quelle dell'avversario; come in antropologia, dove la nostra sola fonte è l'indigeno; come nella cura analitica, dove il nostro solo sapere è quello dell'analizzato, che è anche l'analizzante (...) E' solo il rovesciamento che definisce la presa di posizione da cui si inaugura la conoscenza.

C. Metz Cinema e Psicanalisi, 1977

Il cinema agisce in una sorta di circuito e, sebbene Metz sia ritenuto alquanto obsoleto, credo di poter dire con certezza che alcuni concetti siano da tenere in considerazione. Ancora oggi ci si interroga sulla figura del critico cinematografico, ma il suo ruolo è notevolmente cambiato. Quando Metz afferma che la macchina esterna (il cinema come industria) e la macchina interna ( la psicologia dello spettatore) non sono soltanto in rapporto di metafora (...) ma anche in un rapporto di metonimia e di complementarietà segmentale: la "voglia di andare al cinema" è una sorta di riflesso confezionato dall'industria del film; allora ci si domanda se il critico sia chi recensisce i film. Se il critico distingua il film bello dal film brutto; se il critico sia quel tipo snob e spocchioso che si interroga fino all'esasperazione sul modo di gettar fango sul lavoro di qualcuno o esaltare quello di qualcun altro. Se un film "commerciale" possa essere recensito dalla critica oppure no.

In effetti se consideriamo la macchina cinema in Italia, il primo punto focale del discorso è orientato al ruolo dei Vanzina nel panorama critico. Un critico titolato, andrebbe a guardare il nuovo cine-panettone senza pregiudizio alcuno per poi recensirlo con serio e professionale distacco? Se così fosse allora il circuito intimo e collettivo di cui sopra non darebbe adito a dubbi. Il cine-panettone è campione d'incassi, dunque, merita le considerazioni della critica?
Un critico dovrebbe guardare ogni opera cinematografica, ma il cine-panettone ... resta uno dei più pressanti enigmi.
Queste considerazioni, forse anacronistiche (siamo ben lontani dal periodo natalizio) nascono da giorni di elucubrazioni mentali dopo aver rivisto Hollywood Ending (W.Allen, 2002).

Breve excursus sinottico:
Val Waxman (W. Allen) è un regista ormai in declino. Vive con un'attricetta di teatro (D. Messing) e sebbene vanti un glorioso passato artistico, è ridotto a girare infimi spot pubblicitari facendosi licenziare ogni volta. Un giorno gli viene proposta la regia di un importante film. Raccomandato dall'ex moglie (T.Leoni) ora compagna di un noto produttore, ad inizio riprese, Val piomba in uno stato di cecità psicosomatica. Saranno il suo agente e l'ex moglie ad aiutarlo nelle riprese celando agli altri il segreto per evitargli l'ennesimo fallimento.

Woody Allen mette ancora in scena le sue nevrosi. Sebbene il risultato non sia brillante come in altri casi, ad emergere è una divertente messa in dubbio di sé. Val è una "vecchia gloria" accantonata dal mercato nel momento in cui ciò che per lui era una ricercata autorialità stilistica, per produttori e distributori era l'ostico frutto di chi comincia a credere troppo nel proprio pregio.
La nuova occasione per emergere diventa un incubo sorretto dalla cecità.
Un regista cieco che gira un film. Ad un certo punto del film dice: Anche Beethoven era sordo.
Tornando alle considerazioni di prima, un regista che crede a tal punto in sé da paragonarsi a Beethoven dimenticando il pubblico che lo attende al di là dello schermo, è un regista cieco?
Tuttavia, quando la disfatta professionale di Val è ormai certa, la situazione si risolleva poiché in Francia il film da lui girato (interamente sfuocato, montato in modo incongruente, recitato malissimo) ha un enorme successo. E qui entra in ballo il critico. La "Francia cinematografica" è la Francia della nouvelle vague quindi della decostruzione del linguaggio classico, in altre parole della novità (sebbene si tratti di più di quarant'anni fa) e, per forza di cose, del disorientamento. Il critico francese, dunque, è nell'immaginario comune quello che accantona le convenzioni in favore di forme disarticolate e spaesanti.

Il critico francese prenderebbe in considerazione i Vanzina? Probabilmente no. A meno che le travagliate vicende e gli incastri amorosi dei protagonisti sessuomani non prendessero strade intricate ed ancora incerte nel finale. Ed il pubblico, andrebbe ugualmente al cinema? Probabilmente no. La risata puerile, unico moto di spirito pienamente rispettato a Natale, ne risulterebbe offesa. Conclusioni? Il critico continua a scrivere brevissime recensioni e trame dei film, mentre l'industria prova a sorprendere le aspettative del suo pubblico giocando favorevolmente ai suoi gusti. La critica non deve dare giudizi, ma arricchire questo circuito che Metz ci ha segnalato. Intanto, se il cinema nasce per mano nostra e noi siamo arricchiti dall'esperienza cinematografica, non ci saranno mai film brutti e film belli. Solo varie sfumature del nostro "reale immaginario".


Per la ricetta si ringrazia www.giallozafferano.it

venerdì 4 giugno 2010

HO VOGLIA DI ROCK


E' il 1966, siamo in Inghilterra. Il Governo non permette alle radio di trasmettere più di 2 ore al giorno di rock 'n roll. Ma una nave al largo della costa britannica trasmette rock tutto il giorno.

I Love Radio Rock
(R. Curtis, 2009) si premura di raccontare in modo leggero e scanzonato la grande rivoluzione musicale che nel '66 era al vertice. Dalle scintille del blues inglese si era aperto il sipario che condusse ai Rolling Stones, agli Animals, e poi ai Beatles, ai Kinks, agli Who.
Nel film un caricaturale Kenneth Branagh si traveste da primo ministro puritano e rigido, pettinato quasi come Hitler. I pirati delle onde corte sono attempati, sfigati, tenebrosi, grassi, giovani, spudorati. Alle spalle delle loro voci, gruppi di mods, rocker e casalinghe, studentesse, stenografe.

Al di qua dello schermo, tra risate e qualcos'altro, si annida la nostalgia di un tempo che conosciamo in molti, ma solo per sentito dire. Dove si è nascosta la grande passione che ci è stata così bene narrata? Magari il film peccherà di ingenuità e leggerezza eccessiva in alcuni momenti. Ma come si potrebbe raccontare altrimenti questa storia ad un'intera generazione di disillusi?
La costruzione narrativa ed il montaggio hanno il fascino dei racconti orali. Personaggi ben disegnati, quasi caricature, momenti memorabili a cadenzare il fluire della narrazione.
E' come se un vecchio amico della mamma, reduce da un passato a voi sconosciuto, si presentasse a casa vostra per parlarvi di quell'aspetto trasgressivo e selvaggio che lei non vi aveva mai rivelato. Il racconto avrà allo stesso tempo un chè di familiare e sorprendente. Nella vostra mente resteranno gli aneddoti più bizzarri e, subito dopo, lei avrà tutto un altro aspetto ai vostri occhi.

Richard Curtis, prima che regista, è soprattutto un grande narratore. Se si era distinto con Love Actually (2003), come non amare i ritmi e l'ironia delle sceneggiature di Quattro matrimoni e un funerale (1994), About a boy (2002), Notting Hill (1999), Bridget Jones (2001)? (Il talento di Hugh Grant deve molto a Curtis).
I Love Radio Rock risveglia quella passione groupie che avremmo voluto vivere. Per quanto questa affermazione possa essere travisata, sento di dover consigliare un piatto che abbia in sé un impeto di trasgressione. Uno scatto creativo in cucina, un orgasmo gustativo che si addica anche ad altri film del genere come Almost Famous (C. Crowe, 2000) <- assolutamente da vedere.
INSALATA AL CIOCCOLATO IN CANESTRINO DI PASTA SFOGLIA
ingredienti
1rotolo di pasta sfoglia
200g di radicchio
50g di caprino
1 arancia rossa
2 mele
60g di cioccolato fondente
2 cucchiai di olio d'oliva
aceto di mele q.b.

In stampini appositi adagiate dei quadratini di pasta sfoglia e lavorateli fino a renderli simili a dei tovaglioli, leggermente accartocciati ai lati ma ben fermi alla base. Cuocete in forno fino a doratura ultimata. Lavate il radicchio e riducetelo a striscioline sottili. Condite in un'insalatiera con olio e aceto. Aggiungete le arance ben pulite e private della parte bianca, e le mele. Ponete nei canestrini e decorate con scaglie di formaggio e cioccolato.

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