domenica 14 novembre 2010

VENEZIA 67. Potiche.

Potiche (F. Ozon, 2010).
Suzanne (Catherine Deneuve) è apparentemente una Potiche, termine che in francese indica un soprammobile inutile, in questo caso una donna che non ha mai preso le redini della propria vita vivendo in funzione del marito. Ma quando quest'ultimo viene colto da infarto in seguito ad una protesta operaia, Suzanne si trova a dover gestire la fabbrica di ombrelli di famiglia al suo posto.

Tratto dalla pièce omonima, Potiche è un film che mantiene un'impostazione teatrale fin troppo presente per una trasposizione cinematografica. La leggerezza erotica e il modus vivendi scanzonato fanno da padroni all'intero evolversi della vicenda. Persino la fotografia esalta di colori pacchiani tutto ciò che riguarda l'esistenza della melensa Suzanne.
Ozon sceglie di mantenere l'originale ambientazione, lasciando la vicenda negli anni '70 ed i conflitti sociali fanno da terreno al riscatto della Potiche. Suzanne, infatti, diviene in poco tempo un'ottima imprenditrice e, in nome del magnanimo padre, addirittura vince le elezioni promettendo di estendere a tutta la Francia i suoi successi.

Sebbene la coppia Deneuve-Depardieu e il talento degli altri attori, tra cui spicca Fabrice Luchini, siano una garanzia di successo, il risultato complessivo è la sensazione di aver appena ricevuto in dono una bomboniera ben confezionata, ma ovviamente inutile. Mi spiego. Se la regia ha come unica pecca quella di aver conservato la teatralità in maniera meccanica, senza metterla in discussione e denunciandola solo nella scena del ballo; se la fotografia contribuisce all'effetto straniante rispetto alle vicende sociali e politiche di fondo; emerge una sostanziale contraddizione sul perchè della scelta "filologica" di rispettare l'ambientazione temporale originale.

In un'intervista Catherine Deneuve aveva parlato delle analogie storiche tra film e attualità. Aveva anche aggiunto che un messaggio così forte deve essere considerato dalla nostra società. In realtà il film ha ben poco a che fare con la speranza di un riscatto sociale della classe operaia sfruttata dal Signor Pujol cui probabilmente alludeva la signora Deneuve. Certo, nel film la situazione migliora con l'arrivo della moglie, ma riproporre oggi una chiave di lettura simile non apporta riflessioni considerevoli sulla situazione odierna. La classe operaia non ha alcuna forza, è dipinta come un gruppo di bestioni che deve sottostare al "capo" di turno. Dotata solo della forza fisica resta lì dov'è, non esce dalla fabbrica mai, al massimo rapisce il padrone per dargli una lezione. Ma nel mondo zuccheroso e borghese di Mme Pujol gli operai non hanno accesso. Finanche la vittoria politica della signora è fin troppo assurda da poter essere presa in considerazione. Che una donna vinca le elezioni comunali negli anni settanta, è un bel messaggio. Ma che questa, vestita in visone e scarpe di vernice, dica: non vi preoccupate perchè tutta la Francia diventerà come me, allora delle belle speranze iniziali non resta che una considerazione amara. Suzanne incarna fino in fondo l'ipocrisia borghese che, per tutto il film, finge di denunciare.

RICETTA
Un film stucchevole e sdolcinato, ben si abbina ad una torta dolce, dolcissima, per palati esigenti.Questa volta una ricetta salentina.

TORTA DI PASTA DI MANDORLE
600 gr.di mandorle,
600 gr. di zucchero,
7 uova,
3 limoni, cannella q.b.

Abbrustolite metà delle mandorle con la buccia e macinate le rimanenti crude e private della pellicina esterna. A parte, in una terrina, lavorate i tuorli d'uovo con lo zucchero e gradatamente aggiungete a questi le mandorle tritate, le chiare montate a neve, la buccia grattuggiata dei limoni e la cannella. Amalgamate il tutto con cura e versatelo in una teglia, precedentemente imburrata e foderata di carta da forno.Cuocete a calore moderato per circa trenta minuti.

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