martedì 16 novembre 2010

THE SOCIAL NETWORK (D.Fincher, 2010)

Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg) studia ad Harvard, etichettato come nerd, non ha molti amici. Quando la sua ragazza lo lascia, per ripicca scrive di lei sul suo blog e crea un sito, Facemash, in cui pubblica le foto di ragazze rubate agli archivi universitari, invitando a votare la più appetibile sessualmente. In sole due ore ottiene miliaia di visite che gli costeranno una multa dall'università, ma un'immediata notorietà al campus. Avvicinato da due facoltosi studenti con la proposta di creare un social network elitario, Zuckerberg ha l'idea di crearne uno aperto a tutti. Thefacebook è in breve un successo, ma costerà a Mark un lungo processo per l'attribuzione dei diritti e sarà man mano arricchito dall'intervento di finanziatori e numerosi collaboratori (tra cui, assolutamente meritevole di lode, Justin Timberlake nel ruolo di Sean Parker, inventore di napster). Ma basterà inventare un sito dove si connettono gli amici, per avere degli amici?!

Il motore facebook nasce dal desiderio di conoscere tutto (o almeno tutto ciò che sta in superficie) di amici e conoscenti. Una realtà fittizia che diventa l'unica conoscibile. Zuckerberg fa di un desiderio voyeristico un canale di sfogo all'insegna di relazioni sociali presunte. Fincher costruisce il primo film a mettere al centro della storia internet. Predilige una narrazione visiva in funzione dei personaggi, una forza centripeta porta gradualmente Zuckerberg all'apice della struttura spiraliforme e, man mano che i collaboratori vengono meno, il suo ritratto prende corpo divenendo sempre più ambiguo. Flash back di vita vissuta si incastrano nelle trame di un processo serrato e finemente articolato nella sceneggiatura di Aaron Sorkin, e mentre la narrazione raggiunge il suo apice, l'indagine sul personaggio scava sempre più a fondo fino all'ultima immagine di Zuckerberg, che è solo quella di un ragazzino: in attesa che Erica accetti la sua richiesta di amicizia, quando sarebbe stato più corretto chiederle scusa.


The Social Network ha i toni cupi ed inquietanti di una civiltà che si sta ingabbiando da sola. Porta sullo schermo una realtà molto più pericolosa dei mondi virtuali esperibili proposti da tanti film fantascientifici (Matrix in testa). La solitudine del web è l'ultimo intrinseco fallimento di una ricerca di comunicazione fallita nel quotidiano. Fincher non cede al pericolo di fare un film sui problemi relazionali dei giovani d'oggi, anche se il tema sta al nocciolo della questione, ma ben delinea i tratti di una società globale che fatica a creare delle relazioni pacifiche, incapace di comunicare. E se il volto di Eisenberg non tradisce emozioni, allo stesso tempo sfoga tutte le parole represse sul suo blog, con lo stesso trasporto con cui trascriverebbe una riga di codice html. Nessuna conseguenza, finchè la conseguenza non arriva. Su internet non si scrive con la matita, ma con l'inchiostro...

RICETTA
Cercavo una ricetta, ma tutte le idee mi sembravano assolutamente banali e poco adatte al film. Allora c'ho pensato un pò e mi sono rivolta per un aiutino ... a facebook!Così ho trovato una variante gourmet al solito hot dog americano.
http://www.facebook.com/#!/notes/-r-i-c-e-t-t-e/snack-le-crepes-hot-dog/127054920684587
CREPES HOT DOG
2 UOVA
4 TAZZINE DA CAFFè DI FARINA TIPO 00
4 TAZZINE DA CAFFè DI LATTE
2 WURSTEL GRANDI
SALE q.b.
BURRO
FONTINA
SENAPE O KETCHUP (a piacere)

In una terrina versate le uova con due pizzichi di sale. Aggiungete la farina gradatamente, lavorando il tutto con uno sbattitore elettrico. Poco a poco unite anche il latte. In una padella per crepes fate sciogliere a fuoco medio-basso una piccolissima quantità di burro (una punta di coltello) e versate mezzo mestolo di impasto, rigirate la padella su se stessa così che l'impasto si disponga bene sulla superficie prima di solidificarsi. La crepe è pronta quando i bordi si staccano dalla padella, rigiratela per pochi secondi e adagiatela su un piatto. Continuate così con le altre crepes, ma aggiungete il burro ogni 2 o 3 volte. A parte grigliate i wurstel. Spolverate le crepes di formaggio, e avvolgetele intorno ai wurstel ancora caldi, accompagnati dalla salsa che preferite.

domenica 14 novembre 2010

VENEZIA 67. Potiche.

Potiche (F. Ozon, 2010).
Suzanne (Catherine Deneuve) è apparentemente una Potiche, termine che in francese indica un soprammobile inutile, in questo caso una donna che non ha mai preso le redini della propria vita vivendo in funzione del marito. Ma quando quest'ultimo viene colto da infarto in seguito ad una protesta operaia, Suzanne si trova a dover gestire la fabbrica di ombrelli di famiglia al suo posto.

Tratto dalla pièce omonima, Potiche è un film che mantiene un'impostazione teatrale fin troppo presente per una trasposizione cinematografica. La leggerezza erotica e il modus vivendi scanzonato fanno da padroni all'intero evolversi della vicenda. Persino la fotografia esalta di colori pacchiani tutto ciò che riguarda l'esistenza della melensa Suzanne.
Ozon sceglie di mantenere l'originale ambientazione, lasciando la vicenda negli anni '70 ed i conflitti sociali fanno da terreno al riscatto della Potiche. Suzanne, infatti, diviene in poco tempo un'ottima imprenditrice e, in nome del magnanimo padre, addirittura vince le elezioni promettendo di estendere a tutta la Francia i suoi successi.

Sebbene la coppia Deneuve-Depardieu e il talento degli altri attori, tra cui spicca Fabrice Luchini, siano una garanzia di successo, il risultato complessivo è la sensazione di aver appena ricevuto in dono una bomboniera ben confezionata, ma ovviamente inutile. Mi spiego. Se la regia ha come unica pecca quella di aver conservato la teatralità in maniera meccanica, senza metterla in discussione e denunciandola solo nella scena del ballo; se la fotografia contribuisce all'effetto straniante rispetto alle vicende sociali e politiche di fondo; emerge una sostanziale contraddizione sul perchè della scelta "filologica" di rispettare l'ambientazione temporale originale.

In un'intervista Catherine Deneuve aveva parlato delle analogie storiche tra film e attualità. Aveva anche aggiunto che un messaggio così forte deve essere considerato dalla nostra società. In realtà il film ha ben poco a che fare con la speranza di un riscatto sociale della classe operaia sfruttata dal Signor Pujol cui probabilmente alludeva la signora Deneuve. Certo, nel film la situazione migliora con l'arrivo della moglie, ma riproporre oggi una chiave di lettura simile non apporta riflessioni considerevoli sulla situazione odierna. La classe operaia non ha alcuna forza, è dipinta come un gruppo di bestioni che deve sottostare al "capo" di turno. Dotata solo della forza fisica resta lì dov'è, non esce dalla fabbrica mai, al massimo rapisce il padrone per dargli una lezione. Ma nel mondo zuccheroso e borghese di Mme Pujol gli operai non hanno accesso. Finanche la vittoria politica della signora è fin troppo assurda da poter essere presa in considerazione. Che una donna vinca le elezioni comunali negli anni settanta, è un bel messaggio. Ma che questa, vestita in visone e scarpe di vernice, dica: non vi preoccupate perchè tutta la Francia diventerà come me, allora delle belle speranze iniziali non resta che una considerazione amara. Suzanne incarna fino in fondo l'ipocrisia borghese che, per tutto il film, finge di denunciare.

RICETTA
Un film stucchevole e sdolcinato, ben si abbina ad una torta dolce, dolcissima, per palati esigenti.Questa volta una ricetta salentina.

TORTA DI PASTA DI MANDORLE
600 gr.di mandorle,
600 gr. di zucchero,
7 uova,
3 limoni, cannella q.b.

Abbrustolite metà delle mandorle con la buccia e macinate le rimanenti crude e private della pellicina esterna. A parte, in una terrina, lavorate i tuorli d'uovo con lo zucchero e gradatamente aggiungete a questi le mandorle tritate, le chiare montate a neve, la buccia grattuggiata dei limoni e la cannella. Amalgamate il tutto con cura e versatelo in una teglia, precedentemente imburrata e foderata di carta da forno.Cuocete a calore moderato per circa trenta minuti.

lunedì 8 novembre 2010

DUE CUORI E UNA PROVETTA (J.Gordon e W.Speck, 2010)


Kassie (Jennifer Aniston) è un'attraente giornalista che, stanca di aspettare l'uomo della sua vita decide di scegliere il "donatore della sua vita" ed avere un bambino prima che sia troppo tardi. Wally (Jason Bateman) è il suo pessimista, nevrotico, migliore amico. Al "party di inseminazione" conosce Roland (Patrick Wilson), il donatore palestrato. In un momento di ubriachezza molesta, chiuso in bagno con la provetta, versa accidentalmente il contenuto nel lavandino e decide di rimediare... Sette anni dopo, avendo dimenticato l'accaduto, riconoscerà in Sebastian, il figlio di Kassie, un piccolo se stesso.

La vita è frenetica in città, passa troppo velocemente, e ci si può improvvisamente rendere conto che è troppo tardi per realizzare i propri sogni. Così una donna alla soglia dei quaranta può decidere di avere un bambino da sola e lasciare New York per crescerlo in un luogo tranquillo. E il suo migliore amico scoprirsi improvvisamente geloso al punto tale da dare lui stesso un figlio alla donna, ma senza dirle nulla. Il principio su cui nasce The Switch -ancora una volta un titolo distribuito in Italia in una trasposizione imbarazzante- prende le mosse dal racconto "Baster", dello scrittore Premio Pulitzer Jeffrey Eugenides. Giocato sui principi soliti della commedia sentimentale, risulta piacevole pur restando a mezz'aria nei momenti di potenziale decollo.

Jason Bateman eccelle nel ruolo, finalmente, di protagonista, doppiato dal simpatico Thomas Robinson (Sebastian) nelle nevrotiche ed ansiose manifestazioni di disagio ed ipocondria. Meno brillante del solito, ma ugualmente piacevole, Jennifer Aniston in una delle poche volte in cui veste i panni di donna determinata e matura. Al loro fianco, un Jeff Goldblum simpatico "consigliere" per Wally, ed una poco tollerabile Juliette Lewis che strabuzza gli occhi parlando con Kassie.

Non c'è da discutere, dunque, sulla prova degli attori. Ma il sapore finale resta di incertezza. Sebbene il film intraprenda sentieri potenzialmente esilaranti, mantiene sempre un'aura di correttezza che non rischia la caduta nel volgare. In una commedia confezionata in modo così lineare, però, il mancato potenziamento di situazioni comiche, nate nel confronto tra i caratteri salienti dei personaggi portati all'estremo, la lascia in una sorta di limbo empatico, dove non interviene nulla a stupire ma si giace comunque in una sensazione di piacevolezza. Che ci sia o no il lieto fine, gli sviluppi ultimi della vicenda lasciano incolume chi vi si è addentrato.



RICETTA.
Al suo primo incontro con Wally, Sebastian protesta contro il trattamento delle anatre negli allevamenti. Il bambino, infatti, è molto sensibile ai maltrattamenti sugli animali ed irremovibile nelle questioni di "etica alimentare". Il piatto che ci vuole è a base di ingredienti esclusivamente da agricoltura biologica e vegetariano
POLPETTONE VEGETARIANO
100g di piselli secchi
2 patate
2 zucchine
1 carota
1 gambo di sedano
1 cucchiaio di passata di pomodoro
200g di ricotta
100g di farina
100g di farina di ceci
1 cucchiaio di melassa
odori vari (timo, rosmarino, salvia, prezzemolo...)
olio extravergine di oliva
sale e pepe q.b.

Portate ad ebollizione poca acqua salata a cui aggiungerete i piselli. Lasciate che assorbano tutta l'acqua fino ad ottenere una sorta di purea molto densa. Intanto tagliate le verdure alla julienne, mettetele in uno scolapasta e cospargetele di sale. Dopo circa un'ora ripulitele dal sale in eccesso e ponetele in una ciotola. Aggiungete la ricotta e, quando avrete lavorato bene il tutto, aggiungete le farine prima, il cucchiaio di melassa e gli aromi dopo. Unite la purea di piselli, lavorate ancora un pò e versate il tutto in uno stampo imburrato oppure oleato. Infornate a 180° facendo rassodare bene prima di estrarre il polpettone dal forno.

http://www.gaiaitalia.it/sito2002/RICETTE/ricette_INTRO.html

sabato 6 novembre 2010

LITTLE MISS SUNSHINE (J.Dayton, V.Faris, 2006)


Gli Hoover vivono ad Albuquerque, New Mexico. Olive, la più piccola della famiglia, ha appena ricevuto la notizia dell'ammissione al concorso di Little Miss Sunshine in California. Tutta la famiglia parte in trasferta per accompagnarla. Nulla di strano se non si trattasse di un nonno sniffatore di eroina, uno zio appena reduce da un tentato suicidio, un padre motivatore di folle, un fratello che fa voto di silenzio per entrare nell'aviazione, una madre tranquilla e tutti alle prese con un furgone Volkswagen giallo e difettoso.

L'assoluta sregolatezza del genio è incarnata nel nonno paterno (Alan Arkin). Vivace e fuori dal coro, portavoce di una saggezza personale e graffiante, antitetico al figlio, programmatico e tedioso. Teorico di un manuale per raggiungere il successo, ma assolutamente fallimentare, Richard (Greg Kinnear) non comprende assolutamente i sacrifici cui si sottopone il figlio Dwayne (Paul Dano) che, dotato di una forza d'animo notevole (e di un astio implacabile verso chiunque), trova un amico nello zio (Steve Carell) , affascinante studioso, ma altrettanto sfortunato. In tutto ciò, a far da collante c'è la piccola, dolcissima, Olive (Abigail Breslin), coccolatissimo fiore all'occhiello della famiglia, e la madre Sheryl (Toni Collette), dotata di un autocontrollo ammirevole.

I registi Jonathan Dayton e Valerie Faris, più noti per la regia di video musicali (uno su tutti, il fantastico videoclip di Tonight Tonight del gruppo Smashing Pumpkins per non elencare le numerose collaborazioni con Red Hot Chili Peppers, R.E.M. e molti altri ) e collaborazioni a serie televisive, esordiscono con un primo lungometraggio che trionfa al Sundance Film Festival. Insieme mixano alla perfezione le bizzarrie dei personaggi, lasciando in penombra le connotazioni eccessivamente drammatiche, senza affondare nelle loro patologie. Come in un videoclip (la colonna sonora è semplicemente perfetta e non poteva essere altrimenti) i ritmi si alimentano delle sensazioni e delle arringhe vocali dei protagonisti, e anche il clacson del pulmino entra a far parte dell'armonia generale. E la vita è dipinta proprio così, grottesca, imprevedibile, triste, divertente, egocentrica.

Sebbene in molti abbiano riscontrato un'aperta denuncia all'America arrivista, sempre prima in classifica ed ossessionata dall'ansia del fallimento, io suppongo l'esatto contrario. Il film demolisce un'America di facciata per svelarne, a conti fatti, un retroscena autentico che si annida al di qua dello spettacolo ma ancora più bizzarra e brillante. Il ballo finale di Olive ne è l'esempio. Rompendo ogni aspettativa, catalizza l'attenzione del pubblico in sala e davanti lo schermo, un momento in cui tornano tutte le tracce disseminate lungo il percorso diegetico in una danza liberatoria per i simpatici familiari che le stanno intorno. Tutto torna a posto, e ci si dimentica in un attimo delle sventure appena scampate, e in fin dei conti, la morale c'è e si può riassumere con una frase che qualche decennio prima ha pronunciato Gene Wilder nei panni di Willy Wonka (Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato, M. Stuart 1971):
"Qualche sciocchezza di tanto in tanto aiuta l'uomo a vivere d'incanto"

RICETTA
Questa volta il collegamento tra ricetta e film è meno sottile, e capirete il perchè.
POLLO FRITTO

  • 1 Pollo
  • Uovo Sbattuto
  • Sale
  • Pepe
  • Pangrattato
  • Olio D'oliva
  • 2 Foglie Alloro
  • 1 Rametto Rosmarino
  • Tagliare il pollo a pezzi (non troppo grossi), passarlo nell'uovo sbattuto con sale e pepe e poi nel pangrattato; infine friggerlo nell'olio in cui avrete messo due foglie d'alloro ed un rametto di rosmarino.

    http://www.ricetteamericane.com/

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