lunedì 2 settembre 2013

LA GRANDE BELLEZZA (P. Sorrentino, 2013)

Jep Gambardella (Toni Servillo) è un cronista mondano con un antico e breve passato di scrittore impegnato. Ora trascorre le sue giornate -e nottate, soprattutto- ad organizzare e partecipare alle feste più ricche della città di Roma.

Il delirio estetico de La Grande Bellezza si percepisce dai primi minuti, sospesi tra i movimenti di una macchina da presa che non fa che cullarci e scaraventarci a terra, più volte. Un turista giapponese è sopraffatto dalla visione della città sdraiata, indifferente, illuminata da una luce accecante, ma nessun altro sembra davvero "vedere" quanto possa aver visto lui. E subito ci si ritrova ad essere spettatori di un evento diametralmente diverso, una festa dissoluta, volgare, sudaticcia. Jep Gambardella è l'anello di congiunzione tra l'una e l'altra, col suo volto a tutto schermo a rallentare il tempo attorno a sé. Lui è l'esteta che ha perso il senso della ricerca, che nella missione spirituale del fare artistico ha perso la rotta, dal sacro al kitsch, passando dall'essere scrittore promettente a "re della mondanità".

Sorrentino gioca chiaramente con un sistema barocco di citazioni e rimandi, affondando le dita nella letteratura, il cinema (Fellini su tutti), la musica sacra, la storia dell'arte. La città di Roma giace come un museo addormentato, le cui strade e affreschi e statue sono inabitate, segrete, buie. La "fauna" cittadina è impegnata ad arrampicarsi più in alto della città stessa, a cercare non una visione bensì un altare edonistico, un podio su cui mostrarsi più grandi. Una carrellata di volti che ben incarnano la più aspra critica sociale all'alta borghesia capitolina, purtroppo fin troppo coerente con le immagini più note della mondanità patinata dei tabloid. Nel tripudio del grottesco tutto è scintillante, ed ogni bocca può elargire moralismi e consigli; tuttavia l'unico luogo dove Jep ritrova uno strascico della purezza perduta è nel night club di un amico. Il personaggio di Ramona, la spogliarellista interpretata da Sabrina Ferilli, come un personaggio del Vangelo, custodisce una nobiltà che gli altri non sono in grado di vedere, in contrasto stridente con i fantocci clericali che si aggirano negli stessi luoghi.

Sorrentino si riconferma nel suo talento e la fotografia di Bigazzi è impeccabile. Tuttavia manca il senso della misura. La sceneggiatura è puntellata di dialoghi arguti, la regia è sofisticata, ma l'insieme è una corsa rocambolesca che, però, non dà ritmo ed ai cui inevitabili momenti di riposo si arriva col fiato corto. Di tutto c'è troppo ed il sentimento che ne deriva, che sia voluto o meno, è un senso di vuoto, di inconsistenza. I titoli di coda proseguono come scene aggiunte del film, con lo stesso (mancato) trasporto emotivo, tradendo la sensazione di aver assistito ad un'arrampicata stilistica verso qualcosa ... ma senza sapere bene cosa.

RICETTA
Era mia intenzione proporre una ricetta complessa e ricca di grassi, tanto per difenderci bene dal dopo-ansia-prova-costume. L'estate finisce e ci troviamo di fronte ad un film non proprio gioioso, di quelli che ti lasciano addosso un'infinità di domande irrisolte ed una terribile malinconia.
Per risolvere tale disagevole sensazione, mi sono messa a sfogliare La Scienza in Cucina e l'Arte di Mangiar Bene di Pellegrino Artusi, storico libro di cucina che conservo in edizione datata 1968, acquistata ad un mercatino dell'usato a Volterra (PI). Pagina dopo pagina la gioia è ritornata, ed ecco una bella ricettina scritta dalla penna dell'Artusi e riportata così com'è:

SFILETTATO TARTUFATO
Ingredienti: n.d.
 "I macellari di Firenze chiamano sfilettato la lombata di manzo o di vitello a cui sia stato levato il filetto. 
Prendete dunque un pezzo grosso di sfilettato e steccatelo tutto con pezzetti di tartufi, meglio bianchi che neri, tagliati a punta e lunghi tre centimetri circa, unendo ad ognuno di questi un pezzetto di burro per riempire il buco che avrete aperto con la punta del coltello per inserirli. Fate delle incisioni a traverso la cotenna onde non si ritiri, legatelo ed infilatelo nello spiede per cuocerlo. A due terzi di cottura dategli un'untatina con olio e salatelo scarsamente, perché queste carni di bestie grosse sono assai saporite e non hanno bisogno di molto condimento".

Interessante, no?  :-D

venerdì 3 maggio 2013

Iron Man 3 (S. Black, 2013)

Abbiamo visto Iron Man e c'è piaciuto. Abbiamo visto Iron Man 2 e c'è piaciuto poco. Abbiamo visto Iron Man 3 e c'è piaciuto tanto.
Il dilemma, però, ha un altro nome. A piacerci è il film (sceneggiatura, montaggio, effetti speciali, musiche) oppure è Tony Stark? E dire Tony Stark o Robert Downey Junior è praticamente la stessa cosa, lo sanno bene anche quelli della pubblicità dell'Audi.



Il nuovo capitolo è totalmente Tony Stark. Il regista Shane Black ha ben pensato di assopire le manie di grandezza del miliardario lasciandone uno strascico simboleggiato dalle quasi cinquanta armature nuove che campeggiano tra il salotto ed il laboratorio, ma ha letteralmente consacrato la sceneggiatura all'approfondimento del lato umano di Tony. Destabilizzato dagli eventi che lo hanno visto combattere con gli Avengers, si trincera nel laboratorio insieme a decine di nuove armature che potrebbero proteggerlo da alieni e mostri vari caduti dal cielo, pur non trovando alcun rifugio dagli attacchi di panico sempre più frequenti e violenti. Tutt'altre le abitudini di Tony, dunque, ora che si tiene lontano dai riflettori. Ma il passato non ha ancora messo a posto tutti i conti, e presto si ripresenta alla porta.

Sin dai primi minuti l'impressione di poter assistere ad una storia "vecchia maniera" è vivida e subito confermata. Voce narrante alla c'era una volta, presentazione del luogo e dell'anno (Svizzera, 1999. Con tanto di musica degli Eiffel 65), fine del flash back e inizio del film. Più di due ore di azione, battute divertenti e scenari spettacolari. Il nemico è affascinante e non sembra avere nulla di soprannaturale (non dopo aver dovuto affrontare Loki ed i suoi mostri), il Mandarino (uno spettacolare Ben Kingsley) è tuttavia un leader spietato e desideroso di mettere il mondo ai suoi piedi. Un uomo con manie di grandezza tali da mettere più volte a freno l'ammaccatissimo Stark. Sì, perchè a nulla sono valsi i mesi precedenti l'uscita del film, zeppi di spoiler sul design della nuova armatura, poiché Iron Man è quasi sempre nudo. Ammaccato, fatto a pezzi, scarico, spaventato, moribondo, insonne non riesce a contare su se stesso né sull'armatura che non sembra volergli stare addosso. Così Shane Black si concentra sull'ingegno più che sulla forza di Tony Stark, l'umano tra i supereroi, tuttavia peccando di abbandono della verosimiglianza verso prove meccaniche ingenue che lo vedono gestire i problemi di malfunzionamento dell'armatura un po' alla MacGyver.

L'ingenuità è perdonabile, soprattutto perchè Robert Downey Jr è fin troppo sprecato nascosto da una maschera che nemmeno lascia intendere le migliaia di espressioni di cui è capace in pochi attimi, che ben venga vederlo giocare col Meccano
per tre quarti di film in abiti logori. Anche perché le attese di vedere un po' di azione sono riempite di momenti esaltanti che ben promettono ed esaudiscono.

L'unica nota dolente è il finale. E qui ci sta lo SPOILER che ho faticato ad evitare fino ad ora. Extremis è una cosa fichissima, Guy Pearce è un nemico potentissimo, di quelli che lasciano gli spettatori a contorcersi le mani per il povero Tony che non riesce proprio a calzarla quell'armatura per più di uno schiaffo o due. Un nemico duro a morire come una Fenice, imbattibile, e poi arriva Pepper (Gwyneth Paltrow) che con un calcio e quattro piroette lo annienta nello stesso modo in cui Iron Man lo aveva colpito cinque minuti prima. Non metto in dubbio che sia bellissimo vedere Pepper arrabbiata e fiammeggiante che salva il suo uomo, un momento di Girl Power adrenalinico, ma sarebbe stato bello dopo due ore e mezza riservare dieci minuti in più ad un epilogo combattivo più ampio e meglio motivato. Lei è pompata di extremis e si presume, a parità di invincibilità, l'unica in grado di annientare Aldrich Killian, soprattutto se ci mette forza dell'amore e blablabla. Ma se così doveva essere, sarebbe stato bello gustarsi il momento magari sacrificando la preghiera redentiva finale di Tony Stark completamente uscito di senno che distrugge le armature e si fa sostituire il cuore luminoso con uno vero senza schegge. No, a noi piace Tony che giggioneggia (questa l'ho rubata, lo ammetto) e che non gli frega di fare il tenerone semplicemente perchè avere un disco luminoso in mezzo al petto fa fico. FINE SPOILER.
Tuttavia il film nel suo insieme è lodevole. Sicuramente la miglior prova di Downey Jr nella saga, dopo The Avengers, ed un grande capitolo che ben lascia sperare per il futuro, qualunque esso sia.

RICETTA
Internet è un luogo (o non-luogo ....) magico. Qualcosa che ha cambiato le modalità di accesso all'informazione e che si può utilizzare davvero per risolvere ogni curiosità. Perchè dico questo? Be', perchè non potevo non motivare la mia ricerca se non avessi cercato quali sono i rimedi naturali, dunque i cibi, consigliati contro gli attacchi di panico. Lo so, fa ridere. Perciò, lungi da me ogni critica volta alla cucina macrobiotica et similia, annuncio di aver scelto una ricetta a base di albicocche, segnalate da www.cure-naturali.it  come frutti assai preziosi contro le astenie intellettuali. Essendo anche lo yogurt particolarmente consigliato per alimentare la mente proteggendola dal panico, ecco la

TORTA DI YOGURT E ALBICOCCHE
2 uova
40 g di burro morbido
20 g di nocciole
30 g di mandorle
50 g di yogurt intero
100 g di zucchero
100 g di farina
30 g di fecola
½ cucchiaino di lievito
inoltre
10/12 albicocche
granella di nocciole

In una ciotola montate il burro con metà zucchero fino a creare una crema. Senza smettere di frullare unite le uova, lo yogurt, lo zucchero rimasto e infine le farine con il lievito.
Completate unendo la frutta secca tritata. Versate la massa nello stampo imburrato e infarinato. Dopo aver lavato le albicocche, tagliatele a metà, eliminate il nocciolo e adagiatele allineate una accanto all’altra affondandole leggermente nell’impasto. Cospargete con granella di nocciole (o zucchero a granella) e delle mandorle a scaglie. Cuocete a 180 per 25/30 minuti.

La ricetta è di dolciagogo.blogspot.co.uk


mercoledì 13 marzo 2013

IL LATO POSITIVO- Silver Linings Playbook (di David O. Russell, 2013)



Pat (Bradley Cooper) torna in famiglia dopo aver scontato otto mesi in un ospedale psichiatrico per aver quasi ammazzato di botte l’amante della moglie. Ancora tormentato dal suono della canzone del suo matrimonio, la stessa che suonava nello stereo il giorno in cui li aveva scoperti a fare la doccia in casa sua, è però intenzionato a rimettere a posto le cose. Un giorno conosce Tiffany (Jennifer Lawrence), anche lei con dei trascorsi psichiatrici poco limpidi sopraggiunti con la morte del marito. Poiché la ragazza acconsente a consegnare una lettera d’amore e buoni propositi di Pat alla moglie, che non potrebbe contattare per via di un’ordinanza restrittiva, lui in cambio accetta di farle da compagno per una gara di ballo. Intanto le premonizioni scaramantiche portano suo padre (Robert De Niro) a scommettere tutto il denaro di famiglia su una partita di football degli Eagle e, allo stesso tempo, sul punteggio minimo di Pat e Tiffany alla gara di ballo.

I toni spesso bizzarri di questa commedia sincera e spontanea si dividono a colpi di battute tra i bravissimi protagonisti Bradley Cooper e Jennifer Lawrence (che per il ruolo ha meritato un Oscar). La leggerezza fa da padrona, stemperando il rischio di gravità imminente atteso dal tema principale del film, la malattia mentale. Pat ha un disturbo bipolare da sempre sottovalutato, esploso per l’ennesimo rifiuto di una moglie infelice e per niente comprensiva. Tiffany è una giovanissima vedova che, a differenza di Pat, ha imparato ad accettarsi e a trovare un accordo con la propria infelicità. Non si incontrano per caso, nemmeno sembrano piacersi, ma nasce un rapporto straordinario via via più profondo e sorretto da una sceneggiatura incalzante ma semplice. Lui propende a dire subito tutto ciò che pensa, lei si difende dal mondo aggredendolo con tutte le armi che una donna può sfoderare.

Il football e la danza lascerebbero erroneamente pensare ad una commedia delle tante in cui ritrovare ragazzini fanatici, famiglie assenti e idoli da una sola stagione. Invece Russell prende dal football la ritualità di una famiglia qualunque (i gesti scaramantici, la mamma che fa la lasagna, i figli attorno al papà davanti alla tv); dalla danza l’occasione per imparare delle nuove regole disciplinari da imporre alla vita; dall’amore la cura che sta nel confronto, nello specchiarsi in qualcun altro, l’antidoto alla solitudine di un orizzonte senza punti definiti. Alcuni critici hanno parlato de Il Lato Positivo come di un film che parla della guarigione dalla malattia mentale con la forza dell’amore. Non è propriamente così. Non si tratta di guarire, quanto di accettare e superare una situazione ritrovando se stessi. Pat è da tutti additato come il pazzo, il carnefice della moglie Nicky ma in realtà è solo qualcuno che ha vissuto nella negazione di se stesso, tentando di cambiare per una donna che lo avrebbe voluto più magro, più attento, più silenzioso, più dolce. Per tutto il film lui non fa che indicare nel padre il suo stesso carattere, ma quasi mai nota nella madre la dolcezza, la comprensione che devotamente riserva alla sua famiglia. Perché Pat ha bisogno di un confronto, ha bisogno di riconoscersi in qualcuno o qualcosa, tanto che appena esce dall’ospedale decide di acquistare i libri che Nicky fa leggere agli allievi per “mettersi in pari” con la moglie, imparare com’è lei per essere come lei vuole, ma il risultato è una finestra rotta e un libro che non gli piace volato in mezzo alla strada alle quattro del mattino.

Tiffany invece si dà a tutti per non concedersi a nessuno. Il suo corpo è altro da sé. Ha vissuto la perdita e non vuole aprirsi a nessun altro per paura di restare nuovamente da sola. A differenza di Pat lei sa cosa si prova a trovarsi in qualcun altro, lei ha avuto modo di vedersi anche se ora non si ritrova più. La danza le serve ad imparare a controllare il proprio corpo, a sentirlo vivo e presente, non distante, non venduto, non odiato.
Il Lato Positivo è un film che si guarda tutto d’un fiato, non c’è modo di distrarsi dai deliri di Bradley Cooper che questa volta ripone i panni del bell’imbusto per essere ai limiti dell’innocenza come un bambino spaesato. Jennifer Lawrence è aggressiva e attraente come mai prima, una giovanissima donna dallo sguardo magnetico. Adorabile DeNiro, oramai come un caro nonnino che gioca diligentemente la sua parte nei film famigliari. Durante le due ore del film si ha la sensazione di vedere una bella commedia, leggera al punto giusto, ma solo alla fine la percezione della sua ricchezza si fa chiara, ed è davvero molto bello.

RICETTA
In casa mia non ci sono rituali particolari a cui attenersi ogni qual volta ci sia un’importante partita di calcio, forse perché l’unico tifoso è mio padre. Ricordo molto bene, però, che in occasione dei mondiali del 2006 guardai la prima partita con alcuni amici dell’università, evento che condizionò inesorabilmente tutti gli altri incontri poiché per la prima volta mi trovai costretta a seguire gesti scaramantici fino al fatidico Italia – Francia. Fortunatamente il giro cominciò con un’abbondante insalata di riso, che avrei cucinato sempre allo stesso modo per ogni partita. Se avessi preparato anch’io la lasagna, come fa la mamma di Pat nel film, invece che l’insalata di riso, probabilmente non sarei qui a raccontarla in questo modo dato che quell’estate caldissima rendeva impossibile l’uso del forno per più di un giorno in una modesta casa universitaria piena di tifosi trepidanti. Tuttavia l’idea che voglio trasmettervi in questo momento è quella di un piatto caldo per una serata in famiglia. Dopo il lavoro, lo studio, gli impegni giornalieri, una serata di quiete con le pantofole ai piedi ed il tavolino trascinato tra il divano e la tv per poter mangiare insieme guardando un film o una partita o una trasmissione televisiva. Una lasagna, perché no? E un dvd a noleggio come ai vecchi tempi.

LASAGNE CON GAMBERI E CREMA DI CARCIOFI
Lasagne fresche
5 carciofi
250 gr gamberi grandi
70 gr farina
70 gr burro
1 l latte
passata di pomodoro
mezza cipolla
prezzemolo
noce moscata q.b.
sale q.b.

Pulite i carciofi e tagliateli in spicchi. In una padella fate rosolare la cipolla, aggiungete i carciofi e mezzo bicchiere di acqua. Coprite e lasciate cuocere, aggiungendo altra acqua se una volta evaporata la precedente i carciofi non saranno ancora cotti. Aggiustate di sale, condite con poco prezzemolo fresco. Riducete in crema con il frullatore ad immersione e mettete da parte.
Intanto preparate la besciamella. In un pentolino fate sciogliere il burro a fuoco lento, appena sarà sciolto ma subito prima che cominci a friggere, togliete dal fuoco ed aggiungete la farina setacciata. Mescolate bene con un cucchiaio di legno, appena otterrete un composto ben amalgamato, rimettete sul fuoco e lasciate cuocere per 2 o 3 minuti. A questo punto versate il latte caldo poco a poco nel pentolino mescolando con una frusta. Cuocete fino a far addensare la salsa, sarà pronta nel momento in cui, immergendo un cucchiaino, la crema si attaccherà velando la superficie. Salate e profumate con la noce moscata.
Portate ad ebollizione dell’acqua tenendo accanto una teglia da forno leggermente unta con la passata di pomodoro. Cuocete le sfoglie di lasagna una alla volta procedendo alla farcitura nella teglia man mano che saranno cotte: per ogni strato mettete i gamberi (freschi non surgelati) sgusciati crudi e della crema di carciofi che avrete precedentemente diluito con 3 o 4 cucchiai di besciamella. Una volta terminati gli strati ricoprite con passata di pomodoro e besciamella. Infornate fino a cottura ultimata.

sabato 9 marzo 2013

UPSIDE DOWN (J. Solanas, 2012)

Due mondi speculari ed inversi, in cui ogni essere vivente è soggetto alla gravità del suolo sottostante, sono talmente vicini che uno è il cielo dell'altro e da una montagna molto alta si può quasi toccare la cima di un albero del mondo che la sormonta. Tuttavia i luoghi vivono in un rapporto di dipendenza/sudditanza tanto che uno dei due è talmente impoverito dall'altro da non riuscire quasi a sopravvivere. Adam (Jim Sturgess) vive nel mondo "povero", mentre Eden (Kirsten Dunst) vive nel mondo "ricco". Da adolescenti si incontrano proprio per aver raggiunto rispettivamente le cime più alte dei loro mondi, ma la legge non ammette che ci siano rapporti tra i rispettivi abitanti.

Mettiamo in chiaro una cosa: questo post sarà abbastanza zeppo di spoiler, non per partito preso ma perchè altrimenti non potrei esprimere al meglio lo sdegno che molte, troppe scelte registiche introdotte a caso hanno suscitato. Per chiarire il concetto bisogna prima di tutto ammettere che Upside Down è uno spettacolo visivo la cui forza poteva essere avvalorata da una storia ben pensata, e da un buon cast di attori. Fatta eccezione per l'ultimo elemento, non si può dire che la sceneggiatura sia altrettanto apprezzabile. Già analizzando la trama ci si rende conto delle potenzialità fantascientifiche di una storia che non ha solo il secolare conflitto "Montecchi-Capuleti" per motore, ma anche una serie di divieti ed ostacoli impliciti nell'eccessiva vicinanza tra due mondi opposti sin dalla basilare forza di gravità. Come a dire "se vuoi una storia d'amore impossibile, più di così è davvero difficile".

Uno dei due mondi (quello di sopra) succhia via l'energia e le materie prime dal mondo di sotto, condannando a morte chiunque da quest'ultimo provi ad infrangere anche la più banale delle regole. Inutile far notare la metafora del Nord e Sud della terra e la consueta dinamica di sfruttamento dei ricchi sui poveri. In una delle prime scene, Adam spiega che un oggetto di un mondo, se portato sull'altro, dopo poche ore (o un'ora? le versioni durante il film sono diverse) brucia. Poco dopo lo vediamo mangiare avidamente una melagrana offertagli dall'amichetta sotto-sopra senza bruciare dall'interno, ma gustandone felice il dolce succo. E ancora viene da chiedersi: se il mondo di sopra ruba il petrolio del mondo di sotto per alimentare le sue città, perchè quello stesso petrolio non prende fuoco allo scadere del suo tempo da ospite? Si tratta, infatti, di un pretesto evidentemente utilizzato in sceneggiatura solo per giustificare l'impossibilità di Adam (vestito di pesanti oggetti dell' "altro mondo" che gli consentono di andare a far visita ad Eden senza volare di sotto, attratto dalla gravità inversa) di sostare a lungo e indisturbato in casa di Eden perchè dopo poco le scarpe ed i vestiti cominciano a bruciare.

La stessa storia d'amore diventa flebile in modo imbarazzante. Lei ha subìto una caduta che dieci anni prima le aveva fatto perdere la memoria, evento rimediato miracolosamente alla vista di Adam e soltanto per accelerare lo sviluppo della dinamica amorosa. Scelta che porta via tutta una serie di implicazioni che svaniscono nel nulla insieme a tutte le "certezze" che lo stesso Adam aveva descritto nell'introduzione al film. Magicamente la gravità viene vinta da una gravidanza, i temutissimi despoti del mondo di sopra che fino ad un attimo prima uccidevano chiunque, svaniscono per aver perso il brevetto di una crema antirughe (ebbene sì, una crema che agisce sulla caduta gravitazionale della pelle), ed il mondo di sotto in un attimo sembra più ricco e popolato del mondo di sopra solo grazie alla forza dell'amore.
E pensare che se avessero ricordato che gli oggetti dell'uno possono bruciare sull'altro mondo, il film così com'è non sarebbe nemmeno esistito.

RICETTA
E che ve lo dico a fare? La ricetta "sottosopra" per antonomasia è quella di una torta che -autocombustione a parte- si può mangiare capovolta, quindi senza contorsionismi articolari per passarne una fetta agli amici del mondo opposto. È la

8 - 10 mele
150 gr di burro
150 - 200 gr di zucchero a velo
200 - 250 gr di pasta brisée
cannella

Mondate le mele. In una pentola sciogliete insieme il burro e lo zucchero, a fuoco lentissimo, avendo cura di mescolare fino a far amalgamare il composto che alla fine risulterà di un colore bruno come caramello. Togliete dal fuoco e versate in una teglia da forno. Quando il caramello sarà tiepido, disponete gli spicchi di mela fino a riempire tutta la superficie e spolverate di cannella. Coprite con carta d'alluminio e cuocete per 5 - 10 minuti. Intanto stendete la pasta brisée su un piano infarinato per uno spessore di circa 4 mm. Estraete la teglia dal forno e stendete il disco di pasta al posto del foglio di alluminio. Cuocete a 180° fino a che la pasta non risulti dorata. A cottura ultimata rivoltate la torta immediatamente su un piatto da portata. Et voilà la Tarte Tatin!

mercoledì 16 gennaio 2013

RUBY SPARKS ( di J.Dayton, V. Faris, 2012)

Calvin (Paul Dano) è diventato celebre a diciannove anni con il primo romanzo, subito divenuto un best seller. Purtroppo da qualche tempo il blocco dello scrittore lo affligge, mentre le giornate trascorrono tra ansie e passeggiate stimolanti per il suo cane Scotty. Tuttavia, quando la solitudine e l'ispirazione arrivano ad incontrarsi, dalla mente di Calvin nasce Ruby Sparks (Zoe Kazan) che se in un primo momento vive solo nei sogni più lieti e sulle pagine del libro in divenire, un giorno si manifesta in carne ed ossa tra i fornelli della cucina. Ruby è la ragazza ideale, una compagna perfetta e modificabile in ogni momento in cui l'autore decida di scrivere di lei a macchina.

La seconda opera della coppia Faris-Dayton (dopo l'adorabile Little Miss Sunshine) si muove su una sceneggiatura firmata dalla protagonista Zoe Kazan (nipote del regista Elia) che parte dalla geometrica solitudine delle stanze bianche in cui vive Calvin per colorarsi man mano che Ruby le vive. Il sogno che prende vita è l'antenato eccelso di tutte le fantasmagorie cinematografiche ma Ruby Sparks non si ferma a questo e da godibile commedia si fa carico di riflessioni plausibili sull'idealizzazione dell'altro, l'incontrollabilità del desiderio, l'ansia del possesso e la ricetta del rapporto d'amore. Possibili parentele artistiche sono rintracciabili in Woody Allen (La Rosa Purpurea del Cairo) o nella dimenticata commedia Lars e una ragazza tutta sua in cui Ryan Gosling presenta una bambola gonfiabile come la sua fidanzata, o addirittura nel perturbante freudiano dei racconti di Hoffmann. 

L'effetto straniante creato dall'apparizione di Ruby viene a mancare man mano che Calvin la assorbe, dimenticando la scintilla che l'aveva generata e sopraffatto dall'ansia del possesso, dal complesso della propria grandezza che era convinto di aver sedato con il rifiuto dell'epiteto "genio". La resa dei conti tra l'infelicità di Ruby e l'ego frustrato di Calvin è quasi drammatica, disturbante, combattiva, sadica; l'oggetto del desiderio perde il proprio fascino con brutalità, il corpo esorcizzato viene violentato, deriso, svuotato.
Un film sorprendente e ben interpretato (Paul Dano è pressoché una garanzia di successo), nel cast ci sono anche Annette Bening e Antonio Banderas nel ruolo della madre hippie e del compagno. Insieme rappresentano il contrappunto amoroso a Calvin e Ruby, liberi da ogni controllo programmatico o ansia di possesso, ma allo stesso tempo esempi di una serenità scoperta solo dopo una perdita. Sarà  così anche per Calvin?

RICETTA
Qualche minuto fa, conversando con un'amica, è emersa la necessità di cucinare al più presto dei Brezel (o Pretzel). Di recente ne ho assaggiato una gustosa variante con le mele, un buon abbinamento con Ruby Sparks perchè risponde al desiderio di ricreare un dolce di una tradizione culinaria sufficientemente distante (l'Alsazia...fingiamo che il Brezel sia la proiezione di un desiderio incontenibile) ma con una dose di imprevedibilità rappresentata dalle mele. Pronti? Via!

500 gr di farina 0
200 ml di acqua
2 cucchiaini di zucchero
1 cucchiaino di sale
25 gr di lievito di birra
50 gr di burro
3 cucchiai di bicarbonato
2 mele
3 litri di acqua
cannella
zucchero semolato per la copertura 
Disponete la farina insieme allo zucchero e al sale a fontana. Al centro versate l’acqua tiepida nella quale avrete già fatto sciogliere il lievito di birra. Iniziate a mescolare l’impasto, quindi aggiungete il burro fuso intiepidito. Lavorate l’impasto dei pretzel su una spianatoia per circa 10 minuti fino a farlo risultare liscio ed elastico. Fate riposare l’impasto coperto con un panno umido in un luogo al caldo per circa 2 ore. Dopo la lievitazione, impastatelo un altro po' e dividetelo in 8 panetti. Con ogni panetto formate un cordoncino lungo circa 50 cm più assottigliato verso le estremità. Arrotolate il cordoncino di pasta dandogli la tipica forma dei pretzel. Riponete i pretzel su una teglia ricoperta di carta forno e lasciateli lievitare per mezzora.
Preriscaldate il forno a 220°. Portate ad ebollizione l’acqua e il bicarbonato. Immergetevi i brezel, due per volta, e lasciateli cuocere per 40 secondi. Quindi scolateli con una schiumarola e metteteli su un canovaccio. Trasferiteli su una teglia coperta di carta forno e cospargeteli con gli spicchi di mela ed una spolverata di zucchero e cannella. Cuocete i pretzel a 220° per circa 20 minuti. Serviteli caldi. 

SONO TORNATA ....

Sono tornata. La vita è strana dopo l'università, viene a mancare la scusa fondamentale per cui ci si sente autorizzati a parcheggiare a lungo in un limbo di responsabilità limitate. Perciò mi sono presa una vacanza. 

Presto questo piccolo blog diventerà un sito web - che non ho ancora iniziato a progettare, ma solo perchè mi sto riprendendo dalla vacanza, ma abbiate fiducia - ricco di novità. Ora, però, devo scrivere il primo post del 2013, quindi ... a tra poco.

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