giovedì 11 ottobre 2012

TED (S. MacFarlane, 2012)

Avete mai visto la faccia di Seth MacFarlane?

Questa è la sua faccia. Ma quasi sicuramente molti si staranno domandando chi diavolo sia Seth MacFarlane. Ecco fugato ogni dubbio: Seth MacFarlane è Peter Griffin.

Se poi non sapete chi è Peter Griffin non so proprio come aiutarvi ... va be', un aiutino:
A questo punto sarebbe irrilevante spiegare cosa c'è da aspettarsi da Ted, il primo lungometraggio del regista, perchè se Family Guy (in Italia I Griffin) è irriverente, censurato, blasfemo, omofobo, blasfemo (due volte) e tutto ciò che innalza la bandiera del politicamente scorretto, il film promette di elevare ancora il grado di molestia.

John Bennett è un bambino solo, talmente solo che nemmeno i bambini ebrei malmenati dai bulli di quartiere il giorno di Natale lo vogliono come amico. Quando sotto l'albero trova un orsacchiotto gigante, desidera così tanto che diventi suo amico e che possa parlare che il sogno si avvera. Ted può parlare e camminare come un bambino e presto diventa una celebrità; tuttavia non viene meno alla promessa e resta con John tutta la vita.
Gli anni passano e se Ted resta piccolo e spugnoso, John diventa un trentacinquenne (Mark Wahlberg) che lavora per un autonoleggio ed ha una fidanzata bellissima (Mila Kunis) e con una buona carriera professionale. Il rapporto tra i due amici è più forte che mai, soprattutto perché nonostante le fattezze da "rappresentante di un ammorbidente" (cit.) Ted ama la vita dissoluta: beve, fuma e frequenta prostitute.
Peccato che Lori, la fidanzata, vorrebbe da John un rapporto maturo che tarda ad arrivare. Fumare erba e guardare Flash Gordon in tv è senz'altro più emozionante che fare carriera e mettersi la cravatta, ma per amore si può provare a cambiare. Forse.

Ted rappresenta il sogno di un bambino che prende vita, un pò come il Frankenweenie di Tim Burton, solo che invece di essere brutto fuori, è "brutto" dentro. Dedito al turpiloquio più estremo non può non essere adorabile, si muove come un Danny DeVito con le orecchie pelose insieme allo storico compagno di giochi pettinato da adulto ma col broncio da bambino assonnato.
MacFarlane porta sul grande schermo i fedeli collaboratori dalle serie animate (oltre a I Griffin, anche American Dad e The Cleveland Show), gli sceneggiatori Alec Sulkin e Wellesley Wild, ma anche Mila Kunis (nel doppiaggio originale è la voce di Meg Griffin) nonché se stesso, qui doppiatore dell'orsetto come già di molti dei suoi personaggi televisivi. 
La struttura della commedia sentimentale -lei ama lui ma odia gli amici fannulloni/lui ama lei e prova a cambiare/lui fa un errore/loro si lasciano/lui fa gesto eclatante/situazione di pericolo/lieto fine- resta pressoché intatta ma non è spiacevole poiché ai tentativi di normalità inseguiti da John e Lori non manca mai un intervento di Ted in risposta. Quando le strade dei due protagonisti provano a dividersi i contrasti diventano sempre più gustosi. Il lavoro, la casa, le ragazze di Ted rispondono in modo sempre più dissonante al lavoro, casa e ragazza di John, fino ad esplodere nella scena della festa con Flash Gordon. L'ultima parte sarebbe scontata se non avesse il merito di regalarci un Giovanni Ribisi ai limiti di ogni aspettativa, un po' Freddie Mercury e un po' Silenzio-degli-Innocenti.

RICETTA
Questa volta ho da proporre una ricetta che non è proprio una ricetta, quanto un esperimento goliardico. L'idea l'ho trovata qui :
ORSETTI GOMMOSI ALCOLICI
1 busta di orsetti gommosi HARIBO
1 bottiglia di Vodka

Prendete un recipiente di vetro basso e largo, buttateci dentro gli orsetti di gelatina e ricopriteli di vodka. Coprite con pellicola trasparente e lasciate riposare in frigo per due giorni. Quando andrete a riprenderli saranno gonfi, forse un pò deformi ma soprattutto......alcolici!

giovedì 20 settembre 2012

THE ARTIST (M.Hazanavicius, 2011)

Hollywoodland, 1927. George Valentin (Jean Dujardin) è un famoso attore del cinema muto, protagonista di film seriali d'avventura. Un giorno, per caso, incontra Peppy Miller (Bérénice Bejo) che si fa subito notare dalla stampa ammiccando ai fotografi. Innamorata del grande divo, la ragazza farà di tutto per avvicinarsi a lui, ottenendo ruoli da comparsa prima e via via verso la notorietà con la diffusione del cinema parlato. Al contrario, la fama di Valentin è destinata a tramontare con la fine del muto ma l'attrazione tra i due resterà nonostante le loro strade siano destinate a non incontrarsi.

The Artist è il film che, insieme a Quasi Amici (O.Nakache, 2011), ha decretato il grande successo del cinema francese al botteghino dello scorso anno. Effettivamente si tratta di un'opera che non si limita ad omaggiare il cinema dell'epoca "pre-sonora", ma cede al gusto filologico della ricostruzione in ogni particolare. Dalle musiche all'interpretazione superlativa dei protagonisti (e non solo, perchè nel cast c'è anche un azzeccatissimo John Goodman e James Cromwell come affezionato maggiordomo) è assai riconoscibile il tributo di Hazanavicius ad un certo cinema di Murnau o Lang. Ma l'incubo sonoro degli oggetti che "parlano" a Valentin è quasi vicino al bergmaniano Il Posto delle Fragole, tormentato da allusioni freudianamente perturbanti.

George Valentin, difensore del film d'arte nella sola accezione di immagine in movimento senza la parola, difende strenuamente il proprio orgoglio di "artista", aggrappato ala personalel idea di cinema che lo porterà con sé nel baratro dell'oblio. L'immagine che più gli assomiglia potrebbe essere quella dell'immortale Norma Desmond narrata da Wilder ma, a differenza della diva con gli artigli, Valentin sorride e lo fa spesso. Impossibile credere ad un probabile epilogo tragico anche quando il "BANG" lo lascerebbe credere, il suo essere "artista" non tradirebbe mai il pubblico negandogli un sorriso dei più dolci.

Hazanavicius ambienta il suo film nella Hollywoodland degli ultimi anni '20, ma non dimentica il momento in cui la ricostruisce. Guardando agli anni magici del cinema, si volge languido a quei tempi, quando la parola minacciava gli artisti del muto e presagiva cambiamenti epocali, ebbene lui lo guarda da qui, dagli anni in cui si torna al 3D, al recupero dei vecchi fronzoli da baraccone per avvicinare acquirenti vogliosi, ora che alle nuove tecnologie è preclusa la magnificenza del grande schermo.
The Artist è un atto d'amore al cinema? Probabilmente, ma non nella misura di un'analisi metalinguistica. E' davvero un piccolo gioiellino di semplicità che rifiuta gli arzigogolii dello spettacolo più sfavillante, una storia levigata fino a rendersi sobria come un buon vecchio tailleur che all'occasione fa sempre bella figura.

RICETTA
Parlando di gusto per il classico e di film "antichi" mi sono messa a pensare ad una ricetta "vecchia", qualcosa di tradizionale da abbinare al film. Ma non riuscivo a trovare niente che facesse al caso mio, e chiedere un favore a Betty Draper di MadMen facendomi rivelare cosa farebbe da mangiare a Don quando è particolarmente malinconico, non mi è sembrato il caso. E poi, diciamocelo, non c'entrava granchè anche se a distanza gli eventi passati si collocano tutti in un medesimo tempo. Va be', sto vaneggiando. Insomma, dicevo che alla fine ho scritto "Vecchia Ricetta" su Google ed è venuta fuori una ricetta parmigiana che non sarà in tema Hollywoodland (perchè "land" fino al '49 stava sulla collina proprio con "Hollywood") ma è abbastanza vecchia e tradizionale.
LA VECCHIA (La Vécia)
Ingredienti 
Per il battuto: 
1 cipolla
50 gr. di lardo
1 spicchio d'aglio
1 piccolo gambo di sedano
prezzemolo
sale
pepe.

Inoltre: 
 600 gr. di patate 
1 peperone rosso
1 peperone giallo
3 o 4 pomodori
1 o 2 cipolle
300/400 gr. di carne avanzata (o di carne cruda macinata)
burro
olio
sale
Preparare il battuto di lardo tritando finemente tutti gli ingredienti.
Pulire e affettare, o tagliare a pezzi, tutte le altre verdure e farle rosolare col burro utilizzando un tegame largo e basso. Aggiungere man mano il battuto di lardo e in ultimo la carne tagliata a tocchetti o affettata. Portare a cottura le verdure, su fuoco moderato e a pentola coperta, aggiungendo, se necessario, pochissimo brodo. Una versione meno povera prevede che le patate, anzichè cotte con le altre verdure, vengano fritte nell'olio insieme ad un rametto di rosmarino e due spicchi d'aglio. Si scolano eliminando l'aglio e il rosmarino, si salano e si aggiungono al resto delle verdure prima di servire in tavola.

 

sabato 11 agosto 2012

TRONO DI SPADE. Banchetto, Parte Prima.

Come promesso sulla pagina Facebook, questo post serve a documentare i miei progressi nella cucina ispirata alla serie Il Trono di Spade. Ho ricevuto in dono il fantastico A Feast of Ice and Fire, il libro di ricette ufficiale che mi aiuterà nella preparazione di invitanti banchetti da far invidia alla corte di Approdo del Re, e devo esercitarmi per non giungere impreparata quando sarà il momento, nella fattispecie, Ferragosto. Farneticazioni a parte, il mio amore per la serie era stato già declamato nell'articolo dello scorso Giugno pubblicato per Net1News, Trono di Spade Mania, ed ho provato a realizzare il Cigno di Meringa che campeggerà sul dessert di gelato a Ferragosto.





Il risultato previsto dagli autori del libro è questo:


Dopo aver preparato una meringa con l'ausilio del magico Bimby (4 albumi d'uovo a temperatura ambiente, 400 g di zucchero a velo, un pizzico di sale. Polverizzare lo zucchero per un minuto a velocità turbo. Inserire la farfalla e montare gli albumi, lo zucchero e il sale per 7 minuti a velocità 2, a 50°), con una sac à poche ho creato delle forme di meringa su un foglio di carta forno bagnato e strizzato, tentando di seguire il disegno consigliato dal libro:
Ed ho infornato a 100° nel forno tenuto leggermente aperto da una forchetta per un'ora e mezza.
E questo sarà il risultato (sul gelato, n.d.):
Ci manca una mandorla a fare da becco, ma il primo tentativo di meringa della mia vita sembra superato!



LOVE & SECRETS (A. Jarecki, 2010)

David Marks (Ryan Gosling) è il primogenito di un ricco impresario edile di New York. L'incontro con Katie (Kirsten Dunst), una ragazza di umili origini, rappresenta per poco la via di fuga dagli affari in cui suo padre vorrebbe coinvolgerlo. Insieme aprono un negozio di cibi naturali (All Good Things) cui rinunceranno per le pressioni del magnate. Trasferitisi nuovamente in città per condurre una vita più agiata all'ombra del capofamiglia, saranno assediati dagli spettri del passato di David, ora inspiegabilmente introverso e violento. 

Ispirato alla storia vera di Robert Durst il film indaga la sparizione di Katie, storia che nel 1982 sconvolse l'America. Le indagini riprese nel 2000 sulla base di nuovi indizi videro l'assoluzione dell'imputato Durst, nel film interpretato dall'eclettico Ryan Gosling. Andrew Jarecki, già autore di pregevoli lavori documentari, tenta la strada del thriller partendo da fatti realmente accaduti ma tuttora giuridicamente irrisolti, tuttavia il suo lavoro mira a colmare le lacune lasciate dalle indagini ipotizzando un probabile sviluppo della vicenda.
Al suo primo lungometraggio approda ad un risultato acerbo ma convincente. La prima parte, pervasa da una sensazione di catastrofe imminente, veicolata dalle interpretazione di un'intensa Kirsten Dunst ed un quanto mai distante e gelido Ryan Gosling, mantiene vivo l'interesse. Peccato che a fare da contrasto ci sia una seconda parte, ambientata nel Duemila che, se in un primo momento serviva a fare da didascalia alla narrazione, si impone con tonalità spesso farsesche. David da latitante indossa abiti femminili e d'improvviso sembra non esserci alcun senso dietro l'impulsivo evolversi della storia. Assassinii e decisioni prese con troppa facilità si impongono e distanziano dalla grazia che aveva caratterizzato il racconto iniziale.
La scomparsa di Katie dalla storia e dalle immagini potrebbe essere una delle cause del cambiamento. Kirsten Dunst, che ai tempi di questo lavoro non si era ancora cimentata con il peso esistenziale di Melancholia, riesce a focalizzare su di sé tutta l'attenzione, sebbene il suo compagno non sia da meno. Ryan Gosling dietro il volto silenzioso è intenso come solo lui sa essere (qui ancora lontano dal successo di Drive) ma quasi scompare accanto a Kirsten. Dopo di lei le immagini perdono spessore e la trama degenera esponendosi fin troppo alle forzature didascaliche. Nel complesso si tratta di un'opera che lascia ben sperare sul futuro da regista di Andrew Jarecki lontano dal documentario ma con quella vena di fine narratore degli aspetti più "normali" delle realtà più inquietanti che trapela dal film.

RICETTA
Non so che motivazione dare alla scelta di questa ricetta. Diciamo che per perdonare la mia latitanza vi offro in pegno una ricetta semplicissima, la cui preparazione scenica -rubata a Benedetta Parodi- è talmente facile e divertente, ma soprattutto d'effetto, che ci metto pure le foto! Più di questo non so che altro fare ...
SOPPRESSATA DI POLIPO
Un polipo grande
Sale
olio
limone
pepe
prezzemolo
 


Come specificato si tratta di una ricetta semplicissima che si avvale di strumenti particolari. Innanzitutto fate bollire il polipo in acqua salata per il tempo necessario. Io consiglierei un polipo decongelato perché più tenero. Intanto prendete una bottiglia di plastica da 2l e tagliatela a metà. Appena il polipo sarà cotto scolatelo assicurandovi che resti asciutto e ponetelo nella mezza bottiglia facendolo aderire bene ai bordi, fate attenzione a lasciare meno spazi vuoti possibile. Metteteci un peso sopra (una bottiglia piena o un batticarne, qualunque peso troviate in casa andrà bene, purché riesca a tenere pressato il polipo) e lasciate riposare per mezza giornata. Mezz'ora prima di servire mettetelo in congelatore, poi estraetelo, tagliate a fettine sottili e condite con una citronette fatta di olio, limone, pepe e prezzemolo tritato. Un capolavoro!

domenica 17 giugno 2012

QUELLA CASA NEL BOSCO (D. Goddard, 2011)

Un gruppo di ragazzi parte per trascorrere una vacanza nella casa nel bosco del cugino di uno di loro (Chris Hemsworth). Intanto in un ufficio due colleghi (Richard Jenkins e Bradley Whitford) parlano del più e del meno prima di mettersi al lavoro e monitorare la terribile notte dei ragazzi.

Chi pensa ancora che non ci siano differenze tra zombie e contadini zotici zombie adoratori del dolore si sbaglia di grosso. Se scommettesse sul contrario perderebbe clamorosamente e non sarebbe il più gioviale tra amici che brindano e pasticceria mignon offerta in ufficio. Dal mio canto, però, potrei scommettere che qualcuno tra voi fedeli lettori stia storcendo il naso meditando "Ma che roba è?!? Non era un horror?!? I pasticcini mignon..." E non sarebbe del tutto da biasimare.
Il film in questione, opera prima di Drew Goddard, affiancato alla sceneggiatura dal nostro adorato Joss Whedon, è un horror. Ed è una commedia. Ma non fa ridere. Sempre. E appena si ride ecco una scena da colpo al cuore che non vi sareste aspettati. E in questo labirinto di molliche di pane cerco di tornare indietro -in barba agli uccellini- per giungere in vostro aiuto e spiegare ciò che vorrei dire.


Goddard e Whedon costruiscono un intreccio che parte dai luoghi comuni dell'horror, scegliendoli con cura, per poi lavorarli sotto gli occhi dello spettatore. Come uno chef che seleziona gli ingredienti per preparare un piatto della tradizione culinaria che vi è più familiare davanti a voi, per poi sconvolgervi rivelando segreti e procedure impensabili. Tra il gusto e lo stupore potrete scoprire una nota di sapore che è sempre stata lì senza rivelarsi mai alla consapevolezza. Così i due autori scelgono il più classico dei pretesti (i giovani che partono per una vacanza in un posto isolato) ed ironizzando sulle scelte azzardate che sicuramente li metteranno nei guai alzano le mura di una costruzione ben più complessa. Le gerarchie di potere "horrorifico" sono disposte per una scala che, invece di salire, scende verso il basso. Se sulla terra camminano le vittime, pedine del gioco, sotto di loro si declinano gli uffici del potere in ordine crescente man mano che si va sotto.

Il finale non è scontato, e le scelte registiche sono entusiasmanti. A funzionare davvero è la scelta di far convivere la commedia e l'horror come già avviene in molti altri lavori, ma raffinando i due linguaggi di genere al punto che risultino entrambi pienamente compiuti. Quella Casa nel Bosco, dunque, è un horror ed è una commedia. Alla fine sarete spaventati e divertiti senza aver mai temuto che la situazione potesse precipitare nel farsesco.

P.S. Se ve lo state chiedendo, quella nella foto a sinistra non è Cristiana Capotondi!


RICETTE
Prima di guardare un film horror fa un gran bene sventrare del pesce. E proprio ieri ho preparato un tortino di alici semplicissimo.
TORTINO DI ALICI AL FORNO
1 Kg di alici fresche
pan grattato
olio
aglio
origano
sale

Pulite le alici privandole della testa e della spina centrale. Tritate l'aglio, aggiungete ad una tazzina di olio e lasciate riposare qualche minuto. In una teglia appena unta disponete uno strato di alici che condirete con l'olio all'aglio, origano e sale continuando per diversi strati. Infine ricoprite con il pangrattato e cuocete in forno a 160° per circa venti minuti (anche meno).

lunedì 4 giugno 2012

MARILYN (S. Curtis, 2011)

E' il 1956. Laurence Olivier (Kenneth Branagh) propone a Marilyn Monroe (Michelle Williams) il ruolo di coprotagonista per il suo nuovo film, Il principe e la ballerina. Sul set è presente anche Colin Clark (Eddie Redmayne), un giovane appassionato di cinema riuscito ad ottenere l'ingaggio come terzo aiutoregista. E sarà lui stesso a narrare l'incontro con la bella Marilyn nel diario che pubblicò diversi anni dopo e acui questo film è ispirato.

Marilyn Monroe...Marilyn Monroe, si potrebbe ripetere questo nome all'infinito ed evocare emozioni sempre diverse. La donna che ha fatto impazzire i benpensanti "Fifties", che con lo sguardo ed un sorriso malizioso poteva ottenere tutto dagli uomini più potenti, condannata a rendere felici gli altri pur essendo immune alla felicità. Ma chi si celava davvero dietro il volto di Marilyn Monroe?
Di lei resta un racconto, ma alla base di quello e di tutte le parole che la riguardavano c’era quel corpo che è sopravvissuto alla morte, l’immagine che è diventata mito. E così per tutto il film Marilyn è nell’aria, non serve che Michelle Williams le assomigli (sebbene sia perfetta nel ruolo, un vero talento) perché tutto sa di lei, la si respira in ogni minuto.
 
Della Norma Jeane alimentata da pillole, sedativi e lusinghe spicciole non traspare molto più che qualche capriccio. "Ora devo essere lei" è la frase che pronuncia poco prima di esibirsi con pose e sorrisi alla servitù adorante nel castello di Windsor, ed è forse questa la confessione più innocente e drammatica di Norma-Marilyn. Il "dover essere" ad ogni costo, fino a perdersi del tutto, a svuotarsi di ogni contenuto è stata forse la causa della morte di Marilyn, e allo stesso tempo l'ultima condanna alla fama eterna. Probabilmente oggi non ricorderemmo quelle forme morbide, quasi ingenuamente esibite se la diva fosse rimasta in vita più a lungo, avrebbero rappresentato un momento della storia del costume e della società ma niente di più. Alle curve dei fianchi e del seno di Marilyn è sopravvissuto il conflitto che portava dentro di sé, dietro quegli "occhi da letto" disperatamente in cerca di approvazione.

Il film di Simon Curtis punta a narrare più la desiderabilità dell'oggetto-marilyn che la donna tormentata. Ed il titolo originale rende maggiormente l'idea di una narrazione mediata dagli occhi innamorati di un giovanissimo Colin Clark, che trovò in Marilyn la compagna di un momento, il sogno che si può avere la fortuna di vivere ad occhi aperti, ma che non lascia nulla di reale. Nel cast, accanto a Eddie Redmayne, nei panni di Clark, brillano il veterano Kenneth Branagh, Julia Ormond, Judi Dench ed Emma Watson. Splendida Michelle Williams che ci regala un'interpretazione intensa e credibile tanto da dimenticarci che la "vera" Marilyn, dopotutto, non è che  un sorriso, un corpo che gioca a tener ferma la gonna che si alza per il vento, uno sguardo seducente, un desiderio evanescente che continueremo a cercare per sempre nello schermo, proprio come il giovane Colin.

Avrei voluto intitolare questo articolo nel mio contributo su Net1News "Marilyn e il Desiderio" invocando il riferimento al celeberrimo Monica e il Desiderio di Ingmar Bergman. Nel film del 1952 l'intensità dello sguardo in macchina di Harriett Andersson aveva scatenato una moltitudine di riflessioni, parole, testi critici che ancora oggi lo rendono famoso. Di contro gli sguardi di Marilyn nel film di Curtis sono sì intensi, voraci, ma mai rivolti a noi spettatori. Si ha sempre la sensazione che qualcosa ci stia sfuggendo nelle pause tra quegli attimi in cui lo sguardo è seduttivo e quelli in cui è smarrito, spaventato.

Così mi sono trovata in difficoltà nella scelta della RICETTA. Cosa proporre, un piatto raffinato e seducente o un altro più semplice, dal gusto impalpabile? Forse un gusto che richiami entrambi gli aspetti come un carattere timido e insicuro che si rivela all'infrangersi di una trincea di croccantezza?!? Direi proprio che quest'ultimo è quello giusto.

  •  acqua 1l
  • formaggio Montasio 500g

  •  polenta 200g

  •  speck 150g

  • Preparate una polenta morbida e tagliate a dadini lo speck. Grattuggiate il formaggio, scaldate una padella antiaderente senza aggiungere olio né altri ingredienti. Quando sarà ben calda versatevi 2-3 cucchiai di formaggio. Appena scurisce leggermente, togliete dalla padella, premete leggermente sui bordi formando una specie di canestrino e lasciate raffreddare appoggiandolo su un bicchiere rovesciato così che prenda meglio la forma. Intanto scaldate lo speck che utilizzerete insieme alla polenta per riempire i cestini.

    domenica 6 maggio 2012

    THE AVENGERS (J. Whedon, 2012)

    Loki (Tom Hiddleston), fratellastro cattivo di Thor (Chris Hemsworth), scende sulla Terra per impossessarsi del Tesseract, il potentissimo cubo cosmico con cui potrà guidare un esercito di Chitauri alla conquista del pianeta. Per fermare il malvagio tiranno, Nick Fury (Samuel L. Jackson) prenderà nuovamente in considerazione il progetto di radunare un gruppo di vendicatori (Avengers) scelti tra i più validi supereroi: Capitan America (Chris Evans), Hulk (Mark Ruffalo), Iron Man (Robert Downey Jr.) e Thor, aiutati dagli agenti dello S.H.I.E.L.D. e dalla spia Natasha Romanoff alias La Vedova Nera (Scarlett Johansson).

    Loki fa la sua prima apparizione pubblica a Stoccarda, mentre un quartetto d'archi esegue "La Morte e la Fanciulla" di Schubert. Ora, care ragazze che evitate i film della Marvel come da bambine vi ostinavate (me compresa) a giocare con Barbie snobbando le cose da maschi, qui c'è dell'epica vera, molto più epica di una qualsiasi inverosimile minestra cinematografica a base di Omero (povero Omero!). La cosa che rende The Avengers così elettrizzante è che ogni personaggio è se stesso, ognuno ha un leit motiv che lo segue, proprio come accadeva nel melodramma o nei film musicali della Disney classica. In più Joss Whedon è un gran narratore, e non si limita a mettere la musica rock quando arriva Iron Man, che tra l'altro sfoggia t-shirt fantastiche come quella dei Black Sabbath, oppure a scrivere le battute di Thor come le avrebbe scritte Odino in persona e a fare di Mark Ruffalo il più credibile e veramente arrabbiato di tutti gli Hulk indecenti tentati fino ad ora. Joss Whedon li conosce dalla nascita questi uomini con l'armatura di muscoli, lui sa che Hulk picchia senza sentimentalismi, lui sa che le battute di Iron Man/Stark sono sempre sagaci, lui sa che Capitan America è fondamentalmente un reperto archeologico e Thor un bonaccione, e soprattutto sa che tutti insieme non andranno mai d'accordo.

    Ma il bello arriva proprio quando tutti si trovano uniti nella stessa causa: lo stratega Capitan America dispone i soldati (tranne Hulk, ovviamente) e dal primo sguardo complice all'ultima scena c'è da stare incollati alla poltrona in un mix di turbamento emotivo ed eccitazione fisica. Ora, giustifico una piccola parte dell'entusiasmo nell'ammettere che senza la dovuta istruzione sull'universo Marvel, arraffata alla meno peggio negli ultimi tempi, forse non avrei maturato tanta aspettativa (grazie Dario!) ma, di contro, ammetto umilmente che The Avengers è un vero filmone! Non sono a corto di parole, sono solo investita di un'estasi mistica, un divino furore che mi offusca la mente e non mi fa pensare. Questo film è saggio, ironico, appassionato, mette insieme gente come Samuel L. Jackson e Robert Downey Jr., picchia forte e va veloce ... al punto giusto. Insomma, guardatevelo!

    RICETTA
    Attenzione: Notizia per chi ha già visto il film! Se vi state chiedendo in quale momento del film si trovi l'immagine qui sopra, informatevi! AhAh! Dai, ve lo dico io: da poco nelle sale Americane è stata distribuita una nuova scena che segue i titoli di coda, ed è a quella che vedete qui che mi riferisco. Un ultimo momento del film in cui tutti vanno a mangiare lo Shawarma. E che cos'è lo shawarma? Una specie di kebab...

    Pane Arabo
    Pollo a Striscioline
    Laban (yogurt tipico, molto denso e acido)
    succo di limone
    sale
    aceto rosso
    tahine (pasta di sesamo)
    aglio
    olio
    sumak (chicchi di melograno essiccati in polvere)
    pomodoro a fette
    cetriolo a fette

    Mischiate tre cucchiai di laban con il succo di mezzo limone, due cucchiai di aceto, sale, pepe e lo spicchio d'aglio tagliato in due. Immergete la carne in questa marinata e lasciate riposare un'ora, dopodiché passatela in padella con un po' d'olio per pochi minuti, finché sarà cotta.Mentre la carne si intiepidisce, preparate la salsa mischiando tre cucchiai di laban con un cucchiaino di tahine, succo di mezzo limone e sale. Spalmate la salsa su una sfoglia di pane arabo, disponetevi sopra le fette di pomodoro e cetriolo, spolverizzate con il sumak. Aggiungete la carne ed arrotolate. Chiudete alla base aiutandovi con della carta di alluminio.

    lunedì 30 aprile 2012

    ECOVANAVOCE (T. Urciuolo, 2012)


    Questa volta farò qualcosa di diverso, proponendo la recensione di un film che potrete vedere non al cinema ma in televisione. Ecovanavoce è l'opera prima di Tommaso Urciuolo, e sarà trasmessa dal canale comingsoon television nelle seguenti date: martedì 1 maggio alle 19:20; mercoledì 2 maggio alle 06:00 e alle 13:20; sabato 5 maggio alle 09:20 nel programma "short stories".

    Piove. Un uomo si sveglia nel bosco. Vede qualcuno. Ha paura. Quando il sole sorge va in cerca di aiuto.

    Il film di Tommaso Urciuolo comincia così. Nessuna spiegazione, solo un volto terrorizzato che invoca qualcuno, qualcosa, un aiuto.
    Un solo personaggio, dunque, ma già dai titoli di testa la natura si presenta come altra protagonista annunciata. Il fruscio lieve delle foglie, i raggi del sole che filtrano tra i rami ripresi da una camera incerta, barcollante. Ma la natura ha due aspetti, è silenziosa e incontaminata e allo stesso tempo seminata di macerie. Il protagonista scruta, chiama, cerca indizi, ma l’unica risposta può venire solo da lui. Le macerie incombono come spettro del passato, l’incubo non vive del soprannaturale, ma del riconoscibile. Ed è un incubo senza inizio né fine, dove la contiguità tra vero e falso, passato e presente, si muove come su un nastro di Mœbius.
    Urciuolo cura una regia che si lascia guidare dalla vicenda. La macchina da presa sembra non avere iniziativa, pedina il protagonista, lo fissa e si muove con lui, su di lui. Se mai la vicenda avrà un epilogo, saranno i suoi occhi a svelarlo. L’uomo si trova in un aldilà ipotetico, zoppo come chi ha avuto a che fare con la morte, forse prigioniero di un limbo che lui stesso ha creato. Un limbo costruito sulle macerie della propria esistenza, che mai avranno altro padrone.
    La sceneggiatura di Marco Sommella si costruisce per immagini evocative, annunciate già nel palindromo del titolo, sostenuta dalle musiche di Adriano Aponte. Fabrizio Ferracane, nei panni del protagonista, concede un’interpretazione forse poco misurata, ma in generale all’altezza del compito. Non si tratta di un film facile, perché parlandone si corre il rischio di rivelare troppo. La mancanza di una narrazione lineare in favore di una regia movimentata conferisce all’opera diversi spunti interpretativi.
    Il protagonista più che portatore del racconto è espressione di un malessere variamente identificabile. Paradigmatica è la scena in cui si rifugia ai piedi dell’altare nella chiesa: solo lì può trovare un attimo di quiete, nel luogo della spiritualità per antonomasia, dove il sollievo dalla fatica sopraggiunge dall’aver trovato un rifugio familiare dentro di sé.

    RICETTA
    In un limbo senza ieri né domani, ci sta un piatto che non è dolce e non è salato...
    900 g di petti di pollo
    300 g di albicocche
    3 cucchiai di olio di semi di arachide
    1 rametto di coriandolo
    sale
    Per la salsa agrodolce:
    80 cl di succo di albicocca
    4 cucchiaini di ketchup
    1 cucchiaino di concentrato di pomodoro
    5 cucchiai di zucchero
    7 cucchiai di aceto di riso
    1 cucchiaino di marmellata di albicocche

    Preparare la salsa agrodolce: mettere tutti gli ingredienti, tenendo da parte la marmellata di albicocche, in una pentola e far sobbollire per 20 minuti, mescolare di tanto in tanto, spegnere e unire il cucchiaino di marmellata. Amalgamare e tenere da parte.

    Nel frattempo, tagliare il pollo a dadini, lavare le albicocche e tagliarle a listarelle. Lavare, asciugare e tritare il coriandolo.

    In una padella capiente riscaldare l'olio e rosolare il pollo per 5 minuti, aggiungere le albicocche e continuare la cottura per altri 5 minuti.

    Aggiungere la salsa agrodolce e mescolare con cura, per amalgamarla bene al pollo. Coprire e cuocere a fiamma bassa per 5 minuti. 

    Guarnire con foglie di coriandolo e servire caldo.

    giovedì 19 aprile 2012

    BEL AMI. Storia di un seduttore (D. Donnellan, N. Ormerod)

    Georges Duroy (Robert Pattinson) è un giovane ex soldato nella Parigi di fine XIX secolo. La sua unica dote risiede nel fascino, che lo porterà a scalare le vette della ricca borghesia francese. Soprannominato dalle ammiratrici "Bel Ami" (amico del cuore), saprà risolvere la noia sofferta dalle ricche dame, ottenendo in cambio un lavoro prestigioso e non pochi favori. Ma riuscirà la ricchezza acquisita a riscattare la sua immagine nell'alta società?

    I primi fotogrammi di Bel Ami sembrano rispondere all'aspettativa di un racconto avvolgente ed inquietante, con Robert Pattinson nei panni di Georges Duroy che se ne sta in penombra a rimuginare sul tozzo di pane che gli ricorda la miseria in agguato, con le mani che si sfregano vogliose di posarsi al più presto su un bottino consistente.
    Opera prima della coppia teatrale Declan Donnellan e Nick Ormerod, Bel Ami, dunque, ripropone il tema del celeberrimo racconto di Guy de Maupassant, puntando a ribadire che alle basi della società contemporanea, dal XIX secolo ad oggi, vige sempre la regola d'oro che la corruzione e l'arrivismo sono la forza dei potenti. E la forza del racconto è proprio il suo protagonista, ragazzo povero all'inizio, ricco inetto alla fine.

    Peccato che il "seduttore", cui fa riferimento il sottotitolo nella distribuzione italiana, nel corso del film non si faccia vivo nemmeno una volta. Pattinson sfoggia un'espressione vuota ai limiti della lobotomia per gran parte del tempo, negli attimi restanti accenna ad un broncio infantile e sufficientemente irritante. Donne argute e complesse gli passano accanto inspiegabilmente rapite, chi per attrazione chi per mero interesse politico, da un ometto che perde ogni potenziale carisma tra frasi smorzate e sguardi vacui. Non bastano le talentuose Uma Thurman, Kristin Scott Thomas e Christina Ricci a risollevare il bilancio, perchè la presenza ingombrante di Pattinson porta a fondo l'intera nave. 

    La narrazione perde ogni guizzo possibile, l'intreccio politico resta in secondo piano, tra le belle forme di Clotilde e la fotografia luminosa curata da Stefano Falivene. Peccato che della bieca natura umana, dei raggiri politici e delle storture civili resti solo qualche cenno sbiadito. I dichiarati richiami alla contemporaneità perdono di consistenza, ed a sostenere il film restano veramente pochi elementi. La fotografia, si è detto, ed il volto disperato ed invecchiato di Virginie, tuttavia tendenzialmente grottesco nel tiepido umore generale.


    RICETTA
    Ad una tavola di ricchi si addice un piatto raffinato (o così parrebbe da ciò che viene servito al povero Georges incapace di decifrare le posate). Per l'occasione mi son presa la libertà di decodificare la videoricetta di Paolo Pasquini da www.atavolaweb.it .
    MAZZANCOLLE MARINATE CON TARTARE DI FRAGOLE
    8 Mazzancolle fresche
    200 gr di Fragole
    2 lime
    aceto
    olio
    sale
    menta
    pepe rosa
    maggiorana
    Sgusciate le mazzancolle eliminando il guscio ed il filamento interno. Mettetele a marinare nel succo di lime per mezz'ora. Intanto tagliate le fragole in piccoli cubetti che condirete con un pizzico di sale, qualche foglia di maggiorana, pepe rosa, ed una vinaigrette ricavata dall'emulsione di aceto, olio ed un goccio di lime.
    Quando la marinatura sarà pronta, servite le mazzancolle sgocciolate dal succo di lime, con accanto la tartare di fragole. Nel piatto da portata servite qualche goccio di salsa alla menta che avrete ottenuto frullandone o centrifugandone le foglie con l'aggiunta di olio e sale.

    sabato 11 febbraio 2012

    MR NOBODY ( J. Van Dormael)

    Nemo Nobody (Jared Leto) è l'ultimo mortale rimasto sulla terra. L'anno in corso è il 2092 e Nemo, ormai vecchio, sta per morire. L'evento è talmente eccezionale che i network pretendono di documentarlo, ed un giornalista particolarmente sfacciato riesce ad intrufolarsi nella camera del vecchio Nemo per un'ultima intervista. L'uomo, però, dotato di una memoria eccezionale, sembra non discernere tra ciò che realmente è avvenuto nel passato e la fantasia.

    I "se" di una vita sono infiniti. Le possibilità molteplici e le scelte rappresentano la condizione che toglie fiato alla molteplicità, alla fantasia. E se così non fosse? Se lo spazio ed il tempo coincidessero e potessimo decidere di non scegliere una sola cosa per volta? La vita è più o meno bella proprio in base a ciò che scegliamo di essere, alle strade che decidiamo di percorrere, avrebbe lo stesso valore se così non fosse?
    L'esistenza è un boato di paradossi e leggi che spiegano la deflagrazione delle più piccole particelle della vita umana, perciò Mr. Nobody gode di un montaggio fatto di esplosioni visive e credibili momenti di vita vissuta. Il tutto è affidato alla fallacità dei ricordi e alla pulsione di desideri mai realizzati raccontando la vita come un tumulto di occasioni più o meno fragorose, e allo stesso tempo come un incolore canale di diretta tv senza mosse eclatanti.

    Nemo Nobody è l'ultimo terrestre mortale, gli occhi di un mondo divenuto frivolo ed eterno sono puntati su di lui che presto morirà. La più grande ricchezza di Nemo è la memoria. Un uomo che può godere di un tempo limitato ha il potere di dare valore alla propria vita, perché ogni attimo non si ripeterà mai uguale, ed ogni sapore sarà più o meno forte a seconda della bocca che gli darà il gusto. Paradossalmente l'unico uomo che nell'anno 2092 ha ancora un tale potere sembra non averne mai fatto uso. Non ha mai fatto una scelta, né ha mai deciso di prendere una strada o un'altra. La sua storia diventa allora una ragnatela di eventi indiscernibili, dove l'ancora possibile ed il già passato convivono.

    Jaco Van Dormael è il regista che torna dopo un silenzio durato tredici anni. L'Ottavo Giorno (1996) fu il suo secondo lungometraggio, acclamatissimo dopo il fortunato esordio cinematografico Toto le Héros (1991). Mr. Nobody riprende la predilezione del regista per situazioni mediate da visioni personali, convenzionalmente atipiche. I suoi personaggi sono tendenzialmente "diversi" dagli altri. In questo caso si tratta di un mortale in un mondo d'immortali, dove con la perdita della morte si è dissolta anche l'esistenza del piacere. Ma il protagonista è un vero e proprio "Signor Nessuno", paradossalmente inesistente mentre tutto il mondo lo osserva. Un "Nessuno" perché non ha mai vissuto, ed il non aver mai vissuto coincide con una visione senza tempo del passato, del futuro e del futuribile. Cosa sarebbe successo se...? Cosa è successo quando...? Sono le domande che reggono una sceneggiatura fatta di pensiero e calcolo.

    Forse qualche taglio avrebbe evitato alcune ridondanze di cui pecca il film. Ci sono momenti in cui si ha l'impressione di essere sull'orlo della rivelazione didascalica che rovinerà la poesia dei momenti più belli. Fortunatamente non accade così scontata e prevedibile, ed il film nel complesso sa delle trovate romantiche di Se Mi Lasci Ti Cancello (M. Gondry), della fantascienza emotivamente tormentata di The Fountain- L'albero della vita (D. Aronofsky) e del gioco delle possibilità di Sliding Doors (P. Howitt).

    RICETTA
    Qui ci starebbe proprio bene una ricetta salutare di quelle che ci riempiono di energia facendoci sentire forti, appagati e vitali! Ci vorrà tanto zucchero e vitamine...Ho trovato un'ottima idea su www.atavolaweb.it, anzi due ottime idee!

    ARANCE CANDITE ALLA CANNELLA CON CUORE DI GELATO
    4 piccole arance non trattate
    500 g di zucchero
    1 stecca di cannella
    60 cl di succo di arancia
    200 g di gelato alla vaniglia
    cioccolato fondente per decorare
    Lavare e punzecchiare la scorza delle arance con uno stuzzicadenti.
    Tagliare in due, metterle in un pentolino con acqua fredda e farle bollire per 10 minuti.
    Scolarle dall’acqua e ripetere la stessa operazione per altre due volte: servirà ad eliminare l’amaro contenuto nella scorza.
    Fare in una padella uno sciroppo con lo zucchero, il succo d’arancia, la stecca di cannella e i semi della vaniglia. Aggiungere le mezze arance con la polpa rivolta verso l’alto e cuocerle a fuoco bassissimo per almeno 1 ora coperte da un foglio di carta da forno inciso con dei taglietti per far uscire il vapore*.
    Quando saranno cotte, toglierle dalla padella e lasciarle a raffreddare. Servire le arance ripiene di gelato decorate con cioccolato fondente grattugiato.

    Ancor meglio sarebbe dare un'ulteriore aggiunta di spezie al dolce, sostituendo al gelato alla vaniglia il 
    GELATO ALLO ZENZERO
    15 cl di latte intero
    50 cl di panna fresca
    5 tuorli d'uovo
    10 g di zenzero fresco
    150 g di zucchero semolato
    Sbucciare e grattugiare finemente lo zenzero, lasciando da parte alcune sfogliette per la guarnizione.
    Versare il latte mescolato con la panna in una casseruola e aggiungere lo zenzero grattugiato. Portare ad ebollizione mescolando con cura.
    Non appena si alza il bollore, togliere la casseruola dal fuoco, coprire e lasciar riposare fino a quando il composto sarà completamente freddo.
    In un'altra casseruola, sbattere bene i tuorli d'uovo con lo zucchero e versare il composto di latte e zenzero a poco a poco, sempre mescolando.
    Cuocere a fuoco medio, girando continuamente con una spatola o un cucchiaio di legno, avendo cura di non far raggiungere il bollore. Quando la crema rimarrà sul cucchiaio, togliere dal fuoco
    Lasciar raffreddare. Versare il composto nella gelatiera e preparare il gelato, lasciando mantecare per 30 minuti.
    Disporre nelle ciotole e servire accompagnando con le sfoglie di zenzero.
     

    mercoledì 18 gennaio 2012

    IMMATURI, IL VIAGGIO (P.Genovese, 2012)

    Francesca (Ambra Angiolini), Piero (Luca Bizzarri), Luisa (Barbora Bobulova), Eleonora (Anita Caprioli), Virgilio (Paolo Kessisoglu), Giorgio (Raoul Bova), Marta (Luisa Ranieri), Lorenzo (Ricky Memphis) decidono finalmente di fare il viaggio della maturità...a quarant'anni. Scelgono la meta più classica e romantica ambita dai diciottenni, la Grecia. Alcune situazioni sono ancora in sospeso ma, soprattutto, il viaggio sarà una buona occasione per fare i conti con se stessi ed i propri sentimenti.

    "Strano come spesso basti un viaggio, pochi grammi di coraggio (...) forse, in fondo, è vero che per essere capaci di vedere cosa siamo dobbiamo allontanarci e poi guardarci da lontano...da un aeroplano". La bellissima canzone di Daniele Silvestri ha annunciato a pochi giorni dall'uscita del film l'aura nostalgica del "nulla è perduto" e del "niente è più come prima" che il film dovrebbe suscitare. Così Paolo Genovese orienta i suoi quarantenni allo sbando verso un'avventura vera e propria, probabilmente per concludere il "viaggio" già iniziato nel primo capitolo (Immaturi, 2011). Se l'esame di maturità si era rivelato un buon pretesto per parlare metaforicamente e letteralmente del tassello mancante a quel gruppo di "ragazzoni" per raggiungere l'età adulta, al secondo capitolo manca la forza di una trovata altrettanto solida. Il viaggio della maturità si tinge, per forza, di toni più o meno cupi, ma non ha il potere di far sentire il peso degli eventi. La malattia e il tradimento si aggiungono a contorno di situazioni più o meno divertenti.

    Gli elementi drammatici fanno da spia al sopraggiungere della difficoltosa età adulta, ma a mancare sono le sorprese. Se l'idea di un esame di maturità a quarant'anni, per quanto assurda, risultava convincente nel primo capitolo, l'epilogo del secondo capitolo, anziché stupirci ancora con situazioni assurde ma verosimili, fa l'esatto contrario. Ad esempio, il viaggio insensato di Zingaretti rappresenta un inserto che non ha alcun fine nell'evoluzione della vicenda, anzi mette in ombra un'importante occasione che avrebbe potuto determinare un cambiamento significativo nella costruzione psicologica di Virgilio (Paolo Kessisoglu). Se il regista avesse inciso più a fondo i caratteri dei personaggi, già ricchi e complessi nel primo episodio, invece che lasciare le cose come stavano, allora il film avrebbe ottenuto un impatto emotivo più solido, come quello cantato da Daniele Silvestri.

    Tutto sommato, Ricky Memphis e Maurizio Mattioli (nella sua pur breve apparizione) si confermano in quanto coppia comica vincente, mentre Piero (Luca Bizzarri) è il personaggio più dinamico. Il cast si rivela eccellente, peccato davvero che ogni personaggio perda spessore. Immaturi-il viaggio è un film piacevole, da guardare per sorridere e rabbuiarsi un pò, per godersi le immagini da cartolina di una Grecia sempre splendente, dove i problemi personali possono disperdersi nell'azzurro del mare.

    RICETTA
    Lo so, lo so, siamo finalmente in inverno e dico "finalmente" con sommo disappunto di molti, ma siamo a Gennaio..ed il caldo a Gennaio non è salutare! In ogni caso vi vengo incontro perchè qua ci vuole una ricetta estiva. Ne ho appena copiata una da atavolaweb.it e so che vi piacerà...
    POLPO ALLA SALVIA CON INSALATA DI POMPELMI ROSA
    Per il polpo
    2 polpi di scoglio appena pescati* da 500 g ognuno
    700 g di piselli
    alcune foglie di salvia fresca
    2 spicchi d’aglio
    olio extravergine di oliva
    1 peperoncino
    sale
    Per la salsa dell’insalata
    ½ limone (il succo)
    prezzemolo fresco
    menta fresca
    cerfoglio fresco
    olio extravergine di oliva
    sale
    pepe
    Per l’insalata
    300 g di coste bianche di sedano
    1 kg di finocchi
    300 g di cetrioli
    3 pompelmi rosa
     
    Scongelare il polpo in acqua fredda. Far rosolare in una padella con olio extravergine d’oliva due spicchi d’aglio interi e alcune foglie di salvia. Aggiungere il polpo in pezzi e il peperoncino intero. Coprire e lasciar cuocere a fuoco moderato per circa 10 minuti. Ogni tanto mescolare con un cucchiaio di legno.
    Aggiungere i piselli e lasciar cuocere il tutto altri 30 minuti. Ultimata la cottura, aggiungere un pizzico di sale.
    Preparare la salsa per l’insalata. Tritare menta, prezzemolo e cerfoglio; aggiungere olio, sale, pepe e il succo di limone.
    Sbucciare i pompelmi a vivo, eliminando anche la pellicina bianca, e tagliare ogni spicchio in tre pezzi. Tagliare i cuori dei finocchi in lamelle sottili, spuntare le coste di sedano e tagliarle a rondelle. Sbucciare i cetrioli, eliminare i semini e tagliare a dadini.Adagiare l’insalata in modo creativo su un grande piatto da portata, irrorare con la salsa e servire in accompagnamento al polpo. 

    lunedì 9 gennaio 2012

    CAPODANNO A NEW YORK (G. Marshall, 2011)

    Claire Morgan (Hilary Swank) deve condurre l'evento più atteso dell'anno, la celebrazione del Capodanno a Times Square. Ingrid (Michelle Pfeiffer) è una segretaria insoddisfatta che per l'ultimo dell'anno chiede aiuto ad un ragazzo (Zac Efron) per esaudire una lista di desideri bizzarri. Tess (Jessica Biel) e suo marito scoprono che se il loro bambino sarà il primo a nascere vinceranno un cospicuo premio in denaro, ne consegue una bizzarra gara con un'altra coppia di futuri genitori. Reed (Ashton Kutcher) odia il capodanno, preferirebbe restare in casa in pigiama ma rimane intrappolato in ascensore con l'avvenente vicina di casa (Lea Michele). Kim (Sarah Jessica Parker) vorrebbe impedire alla figlia quindicenne (Abigail Breslin) di raggiungere il ragazzino dei suoi sogni e baciarlo a mezzanotte. Stan (Robert DeNiro) sta per morire e sconta la sua ultima notte in ospedale assistito dall'infermiera Aimee (Halle Berry). La star Jensen (Jon Bon Jovi) canterà per il grande evento, ma non prima di essersi fatto perdonare dalla fidanzata abbandonata un anno prima (Katherine Heigl).

    Capodanno a New York è stato considerato, a torto, la versione americana del cinepanettone nostrano ma, rispetto al nostro made in Italy, ha un cast stellare in cui c'è veramente chiunque, e fortunatamente non ha né il gusto deprecabile per il pecoreccio, né l'autoreferenzialità ostinata ed immotivata. E', invece, un tripudio di buoni sentimenti, un miscuglio di situazioni scontate che attingono alla commedia rosa in tutte le salse. La New York in tempo di crisi economica e rabbia sfogata nelle piazze è tutta lustrini e cartelloni pubblicitari, cene di gala con catering milionari, modelle decerebrate e celebrità a caccia del vero amore. La gente comune è quella che tenta di vincere un premio in denaro facendo nascere il proprio bambino allo scoccare esatto del nuovo anno, o resta sola a casa mentre un giovane valoroso soldato, invece che scaldare il letto, sta in un posto desertico a tenere alto il nome del paese. L'amore, la famiglia e la patria restano le uniche ambizioni desiderabili, i soldi ci sono ma non contano. Buonismo a gogò, insomma.

    Il film si apre con una carrellata per Times Square, mentre la voce narrante parla della bellezza che c'è nel mondo, in questo caso a New York. Come già accennato la vera bellezza cui si vuole tendere è quella dei buoni sentimenti e della redenzione, che arriva tanto per chi ha condotto una vita di rimorsi che per chi invece porta solo rimpianti. Il nuovo anno arriva a rappresentare la speranza consolatoria di una ripresa, probabilmente proprio alludendo alla crisi che stiamo vivendo. Ma non si tratta di una consolazione cieca perchè l'amaro giunge solo alla fine, quando il soldato risponde titubante alla promessa strappatagli dalla fidanzata lontana che il nuovo anno sarà migliore. Un nuovo anno, sì, ma che è in ogni caso la continuazione di quello appena trascorso, e non si può fare tabula rasa. Qualcosa è morto, qualcos'altro può rinascere, altro ancora non è mai finito. La conclusione è il momento più autentico del film, con una leggera malinconia che stona la nota melensa d'insieme. Suona come la riflessione dubbiosa di chi parte contento per le vacanze e si chiede se ha chiuso il gas appena mette piede sul treno. Partirà comunque...ma chissà se al ritorno troverà tutto a posto!?!

    RICETTA
    La domanda è: DeNiro, perché ti crogioli tanto in ruoli che ti dipingono sempre più vecchio e cagionevole? Che fine ha fatto il Toro Scatenato di un tempo? Deve esserti rimasta un pò di forza, deve! Tirati sù e torna a fare il cattivo, getta via la maschera da nonno coccolone o vecchio infermo!

    La ricetta che vi propongo è un ricostituente per il caro vecchio (no, vecchio no, dai!) Bob.

    1,5 kg di polpa di groppa di vitellone ben frollata [scamone]
    2 grosse cipolle rosse
    3 coste di sedano
    5 carote
    3 spicchi d'aglio
    2 bicchieri di ottimo chianti
    500 g di pomodori pelati
    6 cucchiai d'olio extravergine d'oliva
    sale e pepe.

    Pelate due carote che abbiano più o meno lo stesso spessore e spuntatele. Con un lungo coltello fate un foro nella carne, da parte a parte, nel senso della lunghezza, allargatelo un po' e infilatevi le due carote. Spolverate la carne con sale e abbondante pepe e massaggiate per insaporirla bene quindi legatela in più punti con lo spago da cucina. Mondate e lavate sedano, carote, cipolle e aglio e tagliuzzateli grossolanamente. Scaldate l'olio in una casseruola a fondo pesante, unite le verdure e la carne e fate rosolare a fuoco vivace per circa mezz'ora. Durante questo tempo, mescolate spesso le verdure e girate la carne da tutte le parti in modo che prenda colore. Bagnate con il vino e, una volta sfumato, unite i pomodori sminuzzati, coprite, abbassate la fiamma e fate cuocere dolcemente lo stracotto per almeno due ore e mezzo aggiungendo, se necessario, qualche cucchiaio di acqua calda, in modo che il fondo sia sempre abbondante. Alla fine, la carne dovrà risultare tenerissima: prolungate quindi il tempo di cottura se, pungendola con uno spiedino, questo non penetra facilmente. A fine cottura, tirate su la carne, slegatela e lasciatela un po' riposare, avvolta nell'alluminio, per poterla affettare più facilmente. Passate il fondo dal passaverdure, regolate il sale e scaldatelo. Tagliate la carne a fette spesse e copritela con la salsa.

    mercoledì 4 gennaio 2012

    LE CONSEGUENZE DELL'AMORE (P. Sorrentino, 2004)

    Titta Di Girolamo (Toni Servillo) da più di dieci anni vive nella stanza di un albergo in Svizzera. Nessuno sa che lavoro faccia, né se abbia qualche affetto ad attenderlo. Lui stesso conduce una vita silenziosa ed estremamente riservata, non si può dire che abbia degli amici, o dei nemici. Un giorno come tanti la cameriera del bar ( Olivia Magnani) ne attira l'attenzione, rimproverandolo per i modi scortesi. Nella scoperta attrazione verso la ragazza, Titta sentirà di poter cominciare una nuova vita, ma i segreti che lo tengono prigioniero non tarderanno a presentargli il conto.

    Titta vive in albergo, soffre d'insonnia, una volta a settimana si droga di eroina, gioca a carte, fuma. L'albergo è un luogo sospeso. Luogo di isolamento, come una prigione, in cui l'entrata e l'uscita sono regolamentate, ed allo stesso tempo luogo di fascino, del possibile, dove le esistenze si alternano in attesa di un passaggio successivo. I coniugi della camera accanto sono altri prigionieri di quelle stanze che una volta gli appartenevano. Elencano gli oggetti perduti e quelli di cui sono ancora in possesso, divisi tra il ricordo e la speranza, incapaci di fermare il flusso di azioni metodiche che sempre si ripete e mai si definisce.

    L'amore ha per conseguenza il compimento dell'attesa, la conclusione di uno stato e l'inizio di uno nuovo. Può compiersi solo nell'affermazione, dunque nella messa in atto di un linguaggio che ha cause e conseguenze, è generato e determinato dal movimento. E non un movimento che si avvita su se stesso, ma un movimento rigenerante. Titta per anni resta bloccato nei non-luoghi delle stanze d'albergo, nell'atemporalità di un periodo infinito. Siede sempre allo stesso tavolo del bar, assume eroina sempre lo stesso giorno alla stessa ora, obbedisce agli ordini sempre in modo disciplinato ed integerrimo. Poi, l'eccezione. Sedere al bancone del bar diventa la cosa più trasgressiva dei suoi ultimi dieci anni, l'eroina assunta in un giorno qualunque, ed è caos. E' di nuovo vita, è di nuovo spirito, è per forza morte.

    Le Conseguenze dell'Amore è il secondo film di Paolo Sorrentino, ormai considerato indiscusso capolavoro del regista partenopeo. Un'opera che trova i suoi equilibri in un montaggio musicale, dai ritmi elettronici curati da Pasquale Catalano nella colonna sonora. Si assume il compito di tirare in ballo temi difficili e giocosi assieme, e ne deriva un concerto non solo convincente ma esaltante. Sorrentino tocca gli stilemi del genere noir e li trascende nei temi cari alla poesia quali l'amore, l'amicizia, la violenza, il bene ed il male. La cosa sorprendente è che il risultato non è pretenzioso bensì naturale nell'essersi mantenuto umanamente riconoscibile, senza fronzoli ma ugualmente ricco, vicino alle virtù quanto alle debolezze. Titta è un eroe disarmato, dagli sguardi desolati e la voce monotonale. Il volto è quello di Toni Servillo, magistrale nella parte, capace di emozionare con gli occhi intensi ed un volto pressoché immobile. Alle ultime immagini è affidato il senso claustrofobico dell'intera opera. Mentre il paesaggio inghiotte definitivamente Titta, gli occhi guardano l'orizzonte che non c'è, ad incontrare Dino Giuffré, ugualmente prigioniero della propria esistenza, suo migliore amico perché preda della stessa inestirpabile solitudine.


    RICETTA
    Definire Le Conseguenze dell'Amore uno dei più belli, se non il più bello tra i film italiani degli ultimi dieci anni non è azzardato. In ogni caso io lo ritengo tale -e me ne assumo ogni responsabilità!
    La ricetta da abbinare deve essere poco usuale e deliziosa, leggera, gustosa e semplice. Consiglierei un piatto vegetariano.

    4 foglie grandi cavolo verza
    2 mestoli di fagioli borlotti lessati
    3 cucchiai di fiocchi di cereali misti
    1 cipolla
    1 carota grande
    1 cucchiaino di curcuma
    1 scatola di pomodori pelati
    olio
    sale
    Lavate le foglie di verza e cuocete a vapore. In un pentolino scaldate l’olio e fate rosolare mezza cipolla affettata, poi aggiungete la carota tagliata a dadini, i fagioli bolliti e i cucchiai di cereali in fiocchi (se è necessario aggiungete un po di acqua di cottura dei fagioli). Fate cuocere a fiamma moderata per 5 minuti, il tempo che il tutto si insaporisca, versate la curcuma e aggiustate di sale. Lasciate raffreddare l’impasto, nel frattempo le foglie saranno cotte, non troppo morbide, apritele su un tagliere, dividete l’impasto in 4 e ponete la quarta parte al centro della foglia e arrotolate. In una padella scaldate l’olio con la cipolla e versateci il pomodoro e se volete dell’origano, salate e lasciate cuocere. Cotto il sugo di pomodoro posatevi sopra gli involtini che lascerete per 5 minuti a fiamma bassa.

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