Parigi, Marie (Cécile De France) è una giornalista. Sopravvissuta allo tsunami del 2004, resta profondamente scossa dall'esperienza ai limiti della morte appena superata, tanto da voler rinunciare ai progetti già avviati per scrivere un libro che intitolerà Hereafter (Aldilà).
Londra, Marcus (George McLaren) perde in un incidente il fratello gemello (Frankie McLaren). Affidato alle cure di una famiglia adottiva, il bambino contatterà numerosi sensitivi nel tentativo di mettersi in contatto con lui.
San Francisco, George (Matt Damon) lavora come operaio, sebbene in passato la sua capacità di comunicare con l'aldilà gli abbia procurato fama e ricchezza.
Le vite dei tre protagonisti sono destinate ad incontrarsi.
Agli inizi del 2011 Eastwood firma un altro film, come fa da anni ormai con cadenza quasi regolare. Dall'indagine binomiale del Bene e del Male, trattata sempre con particolare riguardo (Mystic River, Million Dollar Baby...) arriva a dirigere un film la cui scelta risulta di primo impatto assai discutibile. Un salto tematico notevole porta il regista ad indagare materia assai consuetudinaria per molti cineasti, come il confronto con la morte nei sentieri del misticismo e dell'inconoscibile, pur mantenendo attive le costanti stilistiche e finanche le tematiche già affrontate nei precedenti lavori (Politica, integrazione sociale, vecchiaia, morte).
Lo scoglio dell'inconoscibile, per coloro che contattano sensitivi ed altri ciarlatani mediatori con l’aldilà, sembra accettabile solo se negato dai precetti consolatori della religione. Il regno dei morti è una dimensione fatta di rimorsi e voci sopravvissute alla vita, senza effetti speciali o proverbiali bagliori alla fine del tunnel. Coloro che vi si affacciano davvero non ne scoprono il mistero, ma vengono rigettati indietro. Nel cercare conforto nell'aldilà si trovano soltanto i resti della vita stessa. Non serve, dunque, rifugiarsi nella speranza di una vita dopo la morte, ma coltivare e lavorare il terreno dell'esistenza, altrimenti si finisce col trovare ancora i fantasmi lasciati lungo il cammino presente.
Un Matt Damon più maturo, più adulto di quanto siamo abituati a vedere, interpreta il solitario George. Condannato ad un destino di emarginazione in vita, si rintana nei luoghi chiusi, poco caratterizzati e prediletti dalla regia e dalla fotografia denotata dall’atmosfera crepuscolare. La recitazione minimale e l’atteggiamento impacciato sono di un personaggio che vorrebbe tuffarsi nella vita, ma di questa trova accesso nei piccoli piaceri di un corso di cucina o nella voce di Derek Jacobi che legge Dickens. Il “dono” che lo ha maledetto è una persecuzione che fin troppo invade le sue giornate.
Che le sofferenze
accomunino umanità diverse in tutto il mondo, è affermazione scontata che,
però, nel lavoro di Eastwood si rigenera dell’attualità delle tragedie
accennate o direttamente evocate nel film. Lo tsunami, gli attentati a Londra
del 2005 e la crisi economica cui fanno riferimento gli operai sull’orlo del
licenziamento, sono i veri ostacoli cui la vita deve far fronte. I morti
parlano degli errori lasciati alla vita, ed i vivi hanno il compito di viverla
quella vita, di superare ogni apparente ostacolo.
Un regista sempre più impegnato nella costruzione del proprio testamento stilistico, dunque. Consacrato come attore negli annali del cinema di culto ed ora stimato autore di alcune tra le più belle pellicole degli ultimi vent’anni. Difficile tirar le somme tra le note di merito e quelle di demerito di questo Clint Eastwood invecchiato e artisticamente preoccupato di definire le note più sentimentali del suo fare cinema. In Hereafter resta troppo labile il legame con la realtà. Il film si perde nella leggerezza evocata che collide con la messa in scena ordinata e "classica" eastwoodiana. Sebbene il messaggio finale appaia quasi una sintetica dichiarazione artistica che dall’ hic et nunc del “come si deve vivere” approda alla magia del caso e del soprannaturale. La sceneggiatura quanto la messa in scena vengono fin troppo ripulite degli orpelli, così da consegnare un’opera essenziale e quanto mai inconsistente. Sullo schermo si muovono esistenze provate da un lutto interiore, lodevolmente mai esposto in modo impudico e, d’altro canto, nemmeno tanto incisivo nell’evolversi della vicenda, fatta eccezione per la storia del piccolo Marcus.
RICETTA
Ad un film che tenta di narrare dello spazio tra la vita e la morte, dell'attesa dell'eternità dopo la vita, propongo di associare uno sfizioso antipasto. Perchè? Perchè aspettando l'epilogo dell'angosciante storia si addice una portata gustosa che però sia d'attesa per qualcos'altro. Questa volta la ricetta è frutto di un'intuizione personale...di cui vado particolarmente fiera.
TORTINI DI MELANZANE E GAMBERI
500 g di melanzane
250 g di gamberi
200 g di formaggio spalmabile tipo Philadelphia
erba cipollina fresca
maggiorana
prezzemolo
olio
Sugo di pomodoro al basilico
sale q.b.
Tagliate a fettine sottili le melanzane, cospargetele di sale e mettetele in una ciotola con un peso sopra per qualche ora, così che perdano l'acqua. A fuoco medio portate ad ebollizione il sugo al basilico. Strizzate le melanzane e cuocetele nel sugo per una decina di minuti. Spegnete e lasciate intiepidire. A parte versate in una ciotola il formaggio spalmabile al quale aggiungerete le erbette tritate finemente e un pò di olio (un'ottima variante sta nel sostituire al formaggio bianco quello alle erbe, o alle olive verdi, o mescolare entrambi in parti uguali). Prendete degli stampini (quelli in alluminio usa e getta per tortini vanno benissimo!), foderate l'interno con le melanzane al pomodoro. Riempite con due cucchiaini di formaggio alle erbe ed aggiungete 3-5 gamberi sgusciati. Mettete un'ultima melanzana per chiudere il tortino. Ponete in forno a 200° per 15-20 minuti. Riversate i tortini su un piatto da portata e servite caldi.
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