Questa volta farò qualcosa di diverso, proponendo la recensione di un film che potrete vedere non al cinema ma in televisione. Ecovanavoce è l'opera prima di Tommaso Urciuolo, e sarà trasmessa dal canale comingsoon television nelle seguenti date: martedì 1 maggio alle 19:20; mercoledì 2 maggio alle 06:00 e alle 13:20; sabato 5 maggio alle 09:20 nel programma "short stories".
Piove. Un uomo si sveglia nel
bosco. Vede qualcuno. Ha paura. Quando il sole sorge va in cerca di aiuto.
Il film di Tommaso Urciuolo comincia così. Nessuna spiegazione, solo un volto terrorizzato che invoca qualcuno, qualcosa, un aiuto.
Un solo personaggio, dunque, ma già dai titoli di testa la natura si presenta come altra protagonista annunciata. Il fruscio lieve delle foglie, i raggi del sole che filtrano tra i rami ripresi da una camera incerta, barcollante. Ma la natura ha due aspetti, è silenziosa e incontaminata e allo stesso tempo seminata di macerie. Il protagonista scruta, chiama, cerca indizi, ma l’unica risposta può venire solo da lui. Le macerie incombono come spettro del passato, l’incubo non vive del soprannaturale, ma del riconoscibile. Ed è un incubo senza inizio né fine, dove la contiguità tra vero e falso, passato e presente, si muove come su un nastro di Mœbius.
Il film di Tommaso Urciuolo comincia così. Nessuna spiegazione, solo un volto terrorizzato che invoca qualcuno, qualcosa, un aiuto.
Un solo personaggio, dunque, ma già dai titoli di testa la natura si presenta come altra protagonista annunciata. Il fruscio lieve delle foglie, i raggi del sole che filtrano tra i rami ripresi da una camera incerta, barcollante. Ma la natura ha due aspetti, è silenziosa e incontaminata e allo stesso tempo seminata di macerie. Il protagonista scruta, chiama, cerca indizi, ma l’unica risposta può venire solo da lui. Le macerie incombono come spettro del passato, l’incubo non vive del soprannaturale, ma del riconoscibile. Ed è un incubo senza inizio né fine, dove la contiguità tra vero e falso, passato e presente, si muove come su un nastro di Mœbius.
Urciuolo cura una regia che si lascia guidare dalla vicenda. La macchina da
presa sembra non avere iniziativa, pedina il protagonista, lo fissa e si muove
con lui, su di lui. Se mai la vicenda avrà un epilogo, saranno i suoi occhi a
svelarlo. L’uomo si trova in un aldilà ipotetico, zoppo come chi ha avuto a che
fare con la morte, forse prigioniero di un limbo che lui stesso ha creato. Un
limbo costruito sulle macerie della propria esistenza, che mai avranno altro
padrone.
La sceneggiatura di Marco Sommella si costruisce per immagini evocative, annunciate già nel palindromo del titolo, sostenuta dalle musiche di Adriano Aponte. Fabrizio Ferracane, nei panni del protagonista, concede un’interpretazione forse poco misurata, ma in generale all’altezza del compito. Non si tratta di un film facile, perché parlandone si corre il rischio di rivelare troppo. La mancanza di una narrazione lineare in favore di una regia movimentata conferisce all’opera diversi spunti interpretativi.
Il protagonista più che portatore del racconto è espressione di un malessere variamente identificabile. Paradigmatica è la scena in cui si rifugia ai piedi dell’altare nella chiesa: solo lì può trovare un attimo di quiete, nel luogo della spiritualità per antonomasia, dove il sollievo dalla fatica sopraggiunge dall’aver trovato un rifugio familiare dentro di sé.
La sceneggiatura di Marco Sommella si costruisce per immagini evocative, annunciate già nel palindromo del titolo, sostenuta dalle musiche di Adriano Aponte. Fabrizio Ferracane, nei panni del protagonista, concede un’interpretazione forse poco misurata, ma in generale all’altezza del compito. Non si tratta di un film facile, perché parlandone si corre il rischio di rivelare troppo. La mancanza di una narrazione lineare in favore di una regia movimentata conferisce all’opera diversi spunti interpretativi.
Il protagonista più che portatore del racconto è espressione di un malessere variamente identificabile. Paradigmatica è la scena in cui si rifugia ai piedi dell’altare nella chiesa: solo lì può trovare un attimo di quiete, nel luogo della spiritualità per antonomasia, dove il sollievo dalla fatica sopraggiunge dall’aver trovato un rifugio familiare dentro di sé.
RICETTA
In un limbo senza ieri né domani, ci sta un piatto che non è dolce e non è salato...
900 g di petti di pollo
300 g di albicocche
3 cucchiai di olio di semi di arachide
1 rametto di coriandolo
sale
Per la salsa agrodolce:
80 cl di succo di albicocca
4 cucchiaini di ketchup
1 cucchiaino di concentrato di pomodoro
5 cucchiai di zucchero
7 cucchiai di aceto di riso
1 cucchiaino di marmellata di albicocche
300 g di albicocche
3 cucchiai di olio di semi di arachide
1 rametto di coriandolo
sale
Per la salsa agrodolce:
80 cl di succo di albicocca
4 cucchiaini di ketchup
1 cucchiaino di concentrato di pomodoro
5 cucchiai di zucchero
7 cucchiai di aceto di riso
1 cucchiaino di marmellata di albicocche
Preparare la salsa agrodolce:
mettere tutti gli ingredienti, tenendo da parte la marmellata di
albicocche, in una pentola e far sobbollire per 20 minuti, mescolare di
tanto in tanto, spegnere e unire il cucchiaino di marmellata. Amalgamare
e tenere da parte.
Nel frattempo, tagliare il pollo a
dadini, lavare le albicocche e tagliarle a listarelle. Lavare, asciugare
e tritare il coriandolo.
In una padella capiente riscaldare
l'olio e rosolare il pollo per 5 minuti, aggiungere le albicocche e
continuare la cottura per altri 5 minuti.
Aggiungere la salsa agrodolce e
mescolare con cura, per amalgamarla bene al pollo. Coprire e cuocere a
fiamma bassa per 5 minuti.
Guarnire con foglie di coriandolo e servire caldo.
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